RIFLESSIONI SULL'ALCHIMIA

Obiettivo dichiarato degli alchimisti classici era quello di trasmutare il metallo vile (leggi: l'uomo comune) in oro purissimo (leggi: l'uomo integrato ed evoluto). Dati i tempi in cui la cura dello spirito era monopolio della chiesa cattolica che non esitava a bruciare vivi o assassinare in altra maniera chiunque invadesse il suo campo, essi escogitarono la finzione della metallurgia, perché in fin dei conti l'oro faceva gola a tutti, preti e papi inclusi. Molte persone presero alla lettera i loro scritti e si affrettarono ad accendere i fornelli e compiere tutti gli esperimenti possibili e immaginabili per ottenere il risultato descritto nei testi alchimici classici, così meritandosi l'etichetta di "soffiatori", ma senza successo pur se alla base dell'assunto alchimico, così come venne esposto, potrebbe esserci qualcosa di vero. Infatti, oggi la scienza sta arrivando alla conclusione che la materia non è composta di elementi solidi, bensì di vibrazioni e la differenza tra un materiale e un altro consiste nella differenza di vibrazione di ciascuna parte infinitesimamente piccola della materia. Di conseguenza, non sembra impossibile mutare la vibrazione che compone la materia ferro in vibrazione che compone la materia oro. Però gli alchimisti, purtroppo, usarono un linguaggio estremamente oscuro che si presta a tanti malintesi, anche perché quando essi parlano in modo chiaro spesso vuol dire che stanno mentendo, mentre dicono la verità allorquando i loro scritti sono estremamente criptici e molto simbolici e ancora mentono quando dicono che un’operazione non è importante o quando la descrivono con dovizia di particolari tutti riferiti alla metallurgia. C’è anche chi ha affacciato l’idea che gli alchimisti fossero realmente in grado di trasmutare la materia e, quindi, anche di spezzare l’atomo e in tal caso il loro linguaggio oscuro sarebbe stato usato per nascondere ai non degni un segreto che avrebbe potuto cambiare la faccia del mondo e segnare il destino dell’umanità. Oggi esistono ancora dei "soffiatori": persone che intendono l'alchimia soltanto come operazioni di laboratorio e si dedicano alla manipolazione della materia indicando con "via secca" le operazioni su minerali e metalli (pur se gli alchimisti dicevano che non bisogna tormentare i metalli) e con "via umida" le operazioni su vegetali, in ciò discostandosi, una volta ancora, da quanto dicevano gli alchimisti, per i quali la via secca era la più rapida e la via umida la più lunga, ma anche la meno pericolosa; affermazione sulla quale, tuttavia, è opportuno riflettere, perché le due vie potrebbero anche non essere alternative.
Tornando, però, a tempi passati, coloro che compresero giustamente il messaggio degli alchimisti si guardarono bene dall'accendere i fornelli e se lo fecero fu soltanto per trarre in inganno chi in effetti credeva all'aspetto materiale dell'alchimia, così difendendosi da indagini ed eventuali accuse di magia o stregoneria.
Quindi, il primo e più grande errore fu quello di credere letteralmente a quanto gli alchimisti scrivevano. Ma l'ingenuità umana non si è fermata a questo errore. Pur avendo compreso il messaggio occulto e avendo capito cosa gli alchimisti intendevano con sale, zolfo e mercurio; pur avendo intuito il procedimento per ottenere la trasmutazione, molti ricercatori si sono fermati all'aspetto prevalentemente fisico e materiale dell'opera. Un esempio per tutti: qualche tempo fa un tronfio personaggio, che si autoproclama l'unico vero e grande maestro oggi esistente nell'universo e l'unica persona in grado di "dare" l'iniziazione (come se l'iniziazione fosse qualcosa che si dà!), si trovò in un salotto nel quale si prendevano serie decisioni sul futuro di un'organizzazione tendente a trasmettere gli insegnamenti iniziatici. Uno dei presenti, allo scopo di sondare le conoscenze di tale personaggio che, ovviamente, aspirava a un posto di alta visibilità all'interno della futura compagine, gli pose una domanda precisa: "Pensi che l'alchimia sia tutta chimica?". La risposta, data con forte enfasi: "Ah, sì, senza alcun dubbio è tutta chimica!" lasciò basiti i presenti, perché essi credevano che per l'importanza che l'individuo si dava avesse almeno compreso che cosa si nasconde dietro le parole di alchimisti anche moderni. La sua risposta fu determinante per catalogarlo tra i "filosofastri chimici", come li definisce il Filalete, e per escluderlo dal progetto che si andava realizzando. A dire il vero, non c'è bisogno di un ipermaestro per capire che se tutto fosse chimico la realizzazione della pietra filosofale sarebbe una cosa automatica: mescolo un ingrediente con un altro, aspetto il tempo necessario o fornisco il calore dovuto e il gioco è fatto. Come mai, allora, non succede così? Non è forse che ci si illude di aver creato la pietra mentre in sua vece si è creato un ego gigantesco che, vetrificandosi, diventa simile a pietra, ma in effetti è sasso?
Altri partono dal fisico, come è naturale e necessario, ma poi restano nel fisico. L'obiezione fatta prima a proposito della chimica vale anche in questo caso: se non ci si eleva di un piano abbandonando il fisico, si finisce in un vicolo cieco dal quale non si è più in grado di uscire, in quanto operando sul piano fisico si può creare soltanto qualcosa di fisico, ma se si vuole creare qualcosa di più "sottile" ci si deve muovere su un differente piano. C'è, ancora, chi divide l'alchimia in interna ed esterna, distinzione che non ha motivo di esistere e che gli alchimisti classici non hanno mai menzionato. Altri ancora, tratti in inganno dalle deviazioni dei moderni pseudo-alchimisti o da mal compresi testi orientali, identificano la pratica alchimica con l’attività sessuale di coppia, dimenticando che tutti gli autori classici specificano chiaramente nei loro scritti che “uno è il vaso, una la materia, una l’operazione”.
Se è vero che, sparsi nei testi classici di alchimia, sono presenti suggerimenti per "costruire la pietra", essi, purtroppo, si limitano all'inizio della via e all'obiettivo finale che l'alchimista si propone di realizzare, lasciando un enorme vuoto nel mezzo, e quindi possono condurre lo studioso soltanto fino a un certo punto della strada. Di ciò che c'è dopo il livello al quale si può giungere seguendo le istruzioni tramandateci non è stato scritto da alcun autore del passato, solo qualche cenno qua e là, di difficile reperimento e interpretazione. Per cui, se è relativamente facile intuire qual è il primo mercurio sul quale si deve lavorare per la creazione del proprio magnete, resta oltremodo difficile individuare il secondo mercurio che deve essere unito al primo, in quanto trattandosi di cosa invisibile col comune senso della vista è necessario sviluppare un diverso e più evoluto senso che metta il ricercatore in grado di percepirlo. Ecco, allora, che molti si sbizzarriscono a tentare di indovinare qual è il procedimento che può portare alla vera realizzazione dell'oro purissimo, tentativi di cui non vale la pena parlare, tanto sono meschini e volgari, pur se servono a testimoniare che a queste persone manca quell'ingrediente indispensabile, il verbum dimissum, che gli Adepti hanno accortamente chiamato "grazia di Dio", senza la quale risulta impossibile fabbricare la pietra e sulla quale tutti gli alchimisti hanno mantenuto il più rigoroso silenzio. A questo proposito, sarà utile considerare una vicenda realmente accaduta, perché essa rappresenta una fra le più comuni situazioni in cui viene a trovarsi chi non viaggia su questa strada con i piedi saldamente ancorati al terreno. Una persona, psicologicamente molto fragile, riuscì a mettersi in contatto con un'Accademia Kremmerziana quando, dopo aver abusato di droghe e simili, era, a suo dire, sull’orlo del suicidio. Avviato sulla via isiaca, ebbe buoni risultati, tanto che fu anche avviato a studi più avanzati. Al termine della prima parte dell’operatività (che egli riteneva completa, ignorando il prosieguo e non ipotizzando che esso potesse essere soltanto confermato oralmente a chi ne fosse ritenuto degno per aver ottenuto le necessarie realizzazioni e intuizioni) sembrava aver raggiunto il suo obiettivo: aveva superato (almeno in apparenza) gli stimoli del sesso e non mostrava alcun interesse per migliorare la propria situazione economica. Ma c’era un diavolo in agguato. Per metterlo alla prova, onde accertare se fosse degno di essere avviato al prosieguo, gli furono affidati dei novizi, affinché li seguisse nei loro primi passi. Fu la sua rovina! Il suo ego cominciò a dilatarsi, si credette un Maestro, solo perché qualche mistico del suo piccolo gregge così lo appellava, pensò di avere concluso la sua strada, di essere in grado di sostituirsi a chi lo aveva fin ad allora guidato amorevolmente, di aver realizzato l’Ibi (mentre forse non aveva neppure realizzato un primo accenno di separando lunare, non essendo in grado di padroneggiare gli accessi d'ira o i repentini cambiamenti d'umore, né di tollerare i minimi appunti al suo operato che per lui erano gravi offese al suo smisurato orgoglio) e forse anche di più e pensava che il cibo con cui nutrire questo presunto Ibi fosse l’Amore. Purtroppo per lui, non sapeva neanche lontanamente che cosa fosse l’Amore inteso in senso ermetico, altrimenti non si sarebbe perso per strada, divorato da uno smisurato ego e da un profondo desiderio di rivalsa per le tante frustrazioni e delusioni che avevano punteggiato la sua passata esistenza.
C’è, poi, un’altra considerazione da fare: e se le pratiche alchimiche ripetute tante e tante volte, come del resto i riti di magia o le preghiere dei religiosi, avessero lo scopo di cogliere il momento giusto in cui le circostanze o lo stato dell’operatore sono tali da “aprire” quella parte di cervello che non viene mai usata negli stati di coscienza cosiddetti normali? Chissà cosa avverrebbe se si riuscisse a metterla in funzione! Quante cose, reputate meravigliose nella dimensione comune in cui viviamo, si potrebbero realizzare? Forse si potrebbe entrare in contatto con una dimensione nella quale tutto è scritto, tutto è possibile, tutta la conoscenza è percettibile, pur se non comunicabile a parole.
Alcuni scrittori di alchimia, specialmente tra i più moderni, hanno azzardato l’ipotesi che essa possa portare all’immortalità. Questo concetto appare poco convincente, se si considera la natura di ciò che comunemente si intende con immortalità, che presenta due aspetti: l’immortalità del corpo, e ritengo che nessuno possa contestare se si afferma che essa è impossibile, in quanto il nostro corpo col passare del tempo tende a consumarsi per cause naturali e anche se, in un futuro non molto prossimo, si riuscirà, come affermano alcuni scienziati, a prolungare di molto l’esistenza umana, ben altra cosa è il renderla eterna; il secondo aspetto riguarda l’immortalità del nostro corpo sottile, variamente individuato come anima, spirito, ecc. A questo proposito, è illuminante un passo di G. Kremmerz, contenuto in uno scritto riservato agli appartenenti alla Schola Myriamica, nel quale sono celati alcuni indizi estremamente importanti per chi si avvia sulla strada dell'evoluzione. Al lettore il compito di identificarli e di trarre le sue conclusioni sulle ipotesi offerte:
“L’uomo, come tutte le cose o vite, subisce il continuo rinnovamento della materia di cui è formato nei quattro elementi che lo compongono, fino a subire il rinnovamento della intera sua forma con la morte.
La morte è l’enigma volgare, perché in tutti i tempi due ipotesi hanno torturato chi ha voluto tentarne la soluzione: una infinitamente poetica che lusinga la vanagloria degli ignoranti e pretende che, spogliata dal corpo saturniano, l’individualità dell’uomo può vivere di una vita indipendente nell’etere col corpo lunare, mercuriale e solare, formanti un’individualità più evoluta; l’altra infinitamente prosaica che fa cessare individualità e vita con la distruzione del corpo fisico.
Le due soluzioni sono entrambe vere, con una terza che è la ordinaria soluzione al presente stadio delle più evolute razze terrigene.
1°. Colui il quale ermeticamente, cioè in uno stato intellettivo continuo, sa trasportare tutta la sua personalità nei tre elementi superiori, può partecipare alla vita eonica ancora vivente nel corpo saturniano e dopo morto può vivere della vita eonica o approdare in nuovi pianeti, o ritornare alla vita umana.
2°. Chi tutto abbassa alla vita saturniana si restringe all’abito grave di carne, si disfa con la carne e i rudimenti delle forme più alte si decompongono nell’etere e la vera personalità individua finisce.
3°. Quelli che, come nell’ora attuale dell’evoluzione, non sono tutto carne o tutto anima, seguono la via delle incarnazioni terrestri successive, rapide, continue, immediate alla morte o no.”
In concreto, però, si può affermare che la pratica alchimica favorisce una vita leggermente più lunga del normale ma, soprattutto, una vita più sana e spesso esente da molti dei comuni mali che affligono le persone in età avanzata.
Circa la pratica alchimica c’è molto da dire, ma sarà bene limitarsi a poche osservazioni. Ricavare tale pratica dai testi degli alchimisti classici è pressoché impossibile, tanti sono i trabocchetti, le omissioni, le contraddizioni e gli enigmi, oltre ai veri e propri inganni, tutti tendenti ad occultare il segreto agli indegni, pur se viene rivelata parte della dottrina. Dice Geber: “Dove ho detto più apertamente e chiaramente della nostra scienza, là l’ho nascosta e ho parlato più oscuramente. (…) Né i filosofi che mi hanno preceduto, né io stesso abbiamo scritto per altri se non per noi stessi e i nostri successori”. Per questo motivo, molti si sono scatenati a rendere di dominio pubblico quelle che essi ritengono essere le regole per praticare e oggi, nei vari mezzi di comunicazione, si trovano istruzioni spesso false, se non del tutto inventate, o mutile, perché a certe persone non è mai stata rivelata la pratica finale (ammesso che esista una pratica finale su questa strada che sembra non avere mai fine); la tradizione è stata tramandata nei secoli attraverso società o scuole iniziatiche e ancora oggi alcune di loro possiedono la dottrina e le istruzioni per la fabbricazione della “pietra”, ma anche qui c’è da aprire gli occhi: alcuni praticanti, avendo eseguito quanto riportato nelle istruzioni che essi ritengono complete, credono di avere raggiunto l’obiettivo (non rendendosi conto che, invece, sono soltanto all’inizio della parte più difficile e ostica del percorso, sempre ammesso che le istruzioni siano state seguite con la corretta disposizione mentale e animica), ma dimenticano che, come detto sopra, la pratica finale, che viene indicata soltanto sotto forma di conferma di intuizioni percepite se si ha la fortuna di trovare un “amico” che abbia già percorso quel tratto di strada, non è scritta da nessuna parte ma deve essere intuita dal ricercatore attraverso tentativi spesso infruttuosi e allo stesso tempo pericolosi, perché uno qualsiasi dei concetti che si pensa di aver compreso potrebbe portare su una strada sbagliata facendo perdere anni, se non decenni, al ricercatore poco acuto. E questo è un altro motivo per cui il segreto non si rivela, onde evitare che la cattiva interpretazione di un discepolo possa condurre a una profanazione della tradizione o a sviare chi è in cammino, oltre al fatto che il segreto non è tale in quanto è vietato divulgarlo, ma è tale in quanto non esprimibile a parole e intuibile soltanto o per un contatto a livello sottile con chi ne è a conoscenza o attraverso uno stato di grazia personale che si manifesta soltanto quando l'essere ha realizzato la purificazione. E qui torna in gioco il detto degli alchimisti che si può intuire il segreto soltanto con “la grazia di Dio”, la sola che può aiutare a penetrare le analogie tra istruzioni scritte e strada solitaria e senza alcun sostegno. Ma si può fare qualche altra riflessione sul termine "purificazione" menzionato più sopra: gli alchimisti affermano che bisogna rincrudire i metalli, ovvero renderli molli, se si vuole intervenire con successo su di loro causandone la trasmutazione da metallo vile in oro, ma non bisogna usare metalli fusi, perché essi sono morti; al contrario, bisogna intervenire su metalli vivi. Tenendo conto che col termine “metallo vile” gli alchimisti intendevano l’uomo comune, bisogna penetrare l’analogia. Secondo i Filosofi, il metallo si forma nelle viscere della terra attraverso la coagulazione del mercurio e quindi alla sua prima comparsa esso è fluido; poi, via via, acquisisce consistenza fino a diventare solido e attraverso una lunga fase di purificazione assume le caratteristiche del metallo così come appare ai nostri occhi. Un periodo di purificazione relativamente breve forma un metallo vile, un periodo di purificazione molto lungo produce l’oro. Se si coglie l’analogia tra metallo e essere umano, si vede che il metallo allo stato primordiale, quando cioè è molle o crudo, corrisponde al periodo in cui l’essere umano viene al mondo. A questo stadio, sia il metallo che l’essere umano sono in uno stato indeterminato. Se si spinge avanti l’analogia: via via che il metallo “cuoce” nelle viscere della terra, esso si solidifica; via via che l’essere umano cresce, esso si solidifica nelle sue convinzioni, forma le sue opinioni, acquisisce delle caratteristiche che lo differenziano da un altro essere umano. Questo processo potrebbe chiamarsi istruzione o educazione se subito passivamente, ovvero ricerca ed evoluzione dell’essere se perseguito attivamente: se tale processo si interrompe dopo poco tempo, genera un “metallo vile”, cioè un uomo comune; se esso continua per molti anni, potrebbe generare un metallo fino, l’argento o l’oro. Condizione, quindi, indispensabile risulta essere la “separazione” del  proprio essere sottile da tutto ciò che, a vari livelli, si identifica con la parte più greve o pesante dell'uomo, ivi incluso il pensiero, che si è andata stratificando nel corso degli anni di vita; in altre parole, si tratta di ridiventare bambini, quando lo spirito non era offuscato dalle varie passioni umane, dalle convinzioni inculcate dalle esperienze di vita, dal dominio dell’ego che via via  è andato crescendo, dalle prevenzioni che derivano da ideali profani, in breve, da tutte le sovrastrutture che caratterizzano un uomo moderno. Con il termine "purificazione", quindi, si dovrebbe intendere quel lento ma continuo processo che porta l'essere a liberarsi da tutto ciò che è stato accumulato nel corso della vita in modo da potere "ridiventare bambino", ovvero metallo molle. C'è da dire, ancora, che il processo di purificazione non è mai avulso dal concetto di evoluzione: la purificazione inizia nel momento in cui l'essere si osserva e valuta le sue più intime caratteristiche, cercando di individuare quelle da rettificare, ma così facendo, cioè osservandosi, ha già dato inizio alla sua evoluzione, perché l'osservarsi lo pone subito al di fuori e al di là dell'essere che era prima.
Tornando a quanto di Geber è stato riportato sopra, il sagace lettore si domanderà: “Perché scrivere libri così voluminosi e incomprensibili se essi erano diretti a chi già sapeva tutto?” Anche qui, si può sospettare, i Filosofi non hanno detto tutta la verità: di certo il motivo principale per cui hanno scritto è quello di trasmettere la tradizione e la ragione per l’oscurità dei loro scritti è sempre quella di non fare cadere in mani sbagliate conoscenze che potrebbero influire sullo sviluppo e la lenta evoluzione del genere umano; ma a queste vanno aggiunte altre considerazioni: pur se nascoste sotto una enorme massa di menzogne, mezze verità, simboli e quant’altro, negli scritti dei Filosofi sono adombrate delle istruzioni, pur se dirette a chi, almeno in parte, è già a conoscenza almeno dell’inizio della Grande Opera; insieme a queste istruzioni, è facile reperire conferme a proprie intuizioni se si ha la pazienza di leggere più di un libro dei tanti Alchimisti, perché uno rivela una cosa e ne tace un’altra, che è rivelata da un altro Filosofo che, a suo volta, mente o tace su un’altra questione.
A questo punto è opportuno spendere alcune parole sulla simbologia adottata dagli antichi alchimisti, ma relativamente soltanto ad alcuni dei principali simboli. Innanzi tutto, bisogna ricordare che la materia dell'opera (non la prima materia, della quale nessun alchimista classico dà la benché minima indicazione e, pertanto, va scoperta dal ricercatore) è sempre e soltanto l'uomo, che si pone al centro del crogiolo (la croce, e ciò ci ricorda un altro simbolismo molto diffuso) dove il fuoco (che non brucia, cioè non il fuoco volgare) lo lava di tutte le impurità che vanno eliminate se si vuole iniziare l'opera. Si tratta di un fuoco indirizzato a liberare l'essere sottile dalle scorie del passato e dalle influenze dell’ambiente esterno e cioè tutte le sovrastrutture o, meglio, le maschere che l'essere palese si è costruito e ha indossato nel corso della sua vita, ed è il fuoco della volontà e dell’intelligenza, che agisce sulla materia modificando coscientemente il codice delle cellule; queste ultime, immesse in circolo, svolgono la loro azione trasformatrice sull’intero organismo; esso è anche il fuoco che, contemporaneamente e più direttamente, modifica la sostanza animica dell’individuo. Il centro del crogiolo, o della croce, è l'incontro dei due bracci: il verticale e l'orizzontale; tale punto indica il perfetto equilibrio tra i due assi che, in definitiva, rappresentano anch'essi pur sempre l'uomo. Prima di raggiungere quell'equilibrio necessario al proseguimento dell'opera, la materia (uomo) deve subire molti patimenti, tra i quali primeggia la lotta tra le due sue tendenze, che i Filosofi spesso rappresentano con la lotta tra due animali, uno alato e l'altro aptero ad indicare rispettivamente il volatile, ovvero lo spirito o principio attivo, e il fisso, ovvero la parte greve dell'uomo o principio passivo, perché subisce tutti gli influssi della materia che lo circonda. La lotta tra questi due animali termina con la morte di entrambi a seguito delle letali ferite che essi si infliggono a vicenda. E questa è una prima morte, che dà vita a un unico principio equilibrato dopo la sua permanenza nel sepolcro (putrefazione) e la comparsa del nero (nigredo). Che cosa significhi questo nero il ricercatore lo sperimenterà sulla propria pelle; qui basterà dire che molti sono stati coloro che, spaventati da questa condizione, hanno abbandonato l'opera, mentre alcuni sono giunti fino al punto di uccidersi. Tuttavia, chi riesce a superare questa spaventevole fase comincia a vedere dei colori diversi (è ovvio che i colori rappresentano anch'essi un simbolo) che mutano fino a raggiungere il colore bianco (albedo). Su questo argomento, però, di più non è lecito dire, ma è forse opportuno tornare un momento sul fuoco e sul crogiolo di cui sopra. È nel fuoco che la Fenice muore e si rinnova e tale fuoco viene da essa stessa preparato nel suo "nido". Ogni volta che essa si pone nel fuoco per morire, torna in vita più splendente di prima. Non è difficile vedere in questo simbolo le varie fasi attraverso le quali passa l'opera. Anche in questo caso, il simbolo della Fenice si riferisce allo stato di essere dell'uomo, che passa attraverso le varie fasi della sua evoluzione: ogni fase si completa con una morte causata dal fuoco interiore, cioè l'uomo così com'era muore per rinascere a nuova vita, ossia il successivo stadio di evoluzione, proprio come la Fenice rinasce più splendente di prima.
Per quanto attiene ai metalli, quali simboli provenienti dall’alchimia, è opportuno precisare che alcuni vorrebbero far corrispondere il metallo mercurio al corpo mercuriale e l’oro a quello solare. Pur riconoscendo che l’oro, quale metallo incorruttibile e inalterabile, può simbolicamente essere paragonato allo spirito, forse non è il caso di concordare con tale ipotesi se si tiene presente la simbologia alchimica. Dallo studio dei testi degli alchimisti classici si evince che non è questa la giusta interpretazione del loro simbolismo e che l’oro che essi volevano fabbricare non è e non può essere lo spirito, se è vero che lo spirito presente in ciascun essere è una parte dello spirito universale, che è sempre esistito, sempre esisterà ed è, per definizione, perfetto. Se ne deve, dunque, dedurre che non potendo fabbricare ciò che è sempre esistito e che è di per sé perfetto, gli alchimisti intendevano con “oro” qualcosa di diverso, che poteva essere “fabbricato”, cioè fatto con procedimento manuale da un artigiano o artista che utilizzi ciò che trova a sua disposizione in natura; questo manufatto certamente non può essere l’oro volgare, né lo spirito che essi non potrebbero fabbricare. Nel Rosario dei Filosofi si dice: “l’oro è tutto Mercurio, il che si vede dal suo peso e dalla facilità con cui il Mercurio gli si combina. In esso si trovano dunque l’intento e la volontà totale e radicale dei Filosofi” e ancora “A partire da ciò che è perfetto non si ha niente perché è già perfetto secondo una tale natura o una tale arte”. Coloro che ritengono di identificare l’oro alchimico con lo spirito forse sono stati portati a tale convinzione dal fatto che gli alchimisti hanno usato molte parole per indicare una stessa cosa e hanno usato una stessa parola per indicare molte cose e pertanto non fa meraviglia che abbiano dato il nome oro a più cose, tra le quali la materia prima dell’opera, per cui dicono che non si può fare l’oro senza l’oro (ciò conforta l’ipotesi che con oro essi vogliono qui indicare due cose diverse) che, in termini profani, equivarrebbe a dire che non si può fare il latte senza latte, mentre sarebbe più accettabile dire che non si può fare il formaggio senza latte. Geber, nel Perfetto Magistero, dice: “L’oro è il più prezioso dei metalli; infatti proprio lui è l’anima che congiunge lo spirito al corpo, cioè all’imperfetto”, dal che si ricava che con oro non si intende lo spirito. Sempre restando in tema di simbologia alchimica, un altro importante indizio di ciò che si deve “fabbricare” è contenuto nella Tavola di Smeraldo, in cui è detto “Il Sole ne è il Padre, la Luna ne è la Madre, il Vento l’ha portato nel ventre, la Terra è la sua nutrice” che potrebbe stare a indicare che quando si riesce a celebrare le nozze chimiche del Sole (il Solare) e della Luna (il Lunare), nasce il figlio; nel dire che il Vento (cioè l’aria, il Mercuriale) l’ha portato nel ventre si intende che il germe, l’embrione di questo figlio è nel Vento (nel Mercuriale) e si deve farlo sviluppare, cosa cui partecipa attivamente la Terra (il Saturniano, l’artista, il contadino, sempre basandoci sulla simbologia alchimica).
Come si evince da quanto detto in questo scritto, molti sono i pericoli che possono distrarre il ricercatore dalla realizzazione dell'obiettivo che si è prefisso. Si tratta pur sempre di sirene, il cui canto ammaliatore spesso non si è pronti a rifiutare col risultato che molto spesso, senza rendersene conto, si ritiene di percorrere la giusta via, mentre in effetti si percorre un viottolo pietroso e polveroso, che non può portare ad alcuna meta sperata. Soltanto coloro che sono in grado di camminare sulle acque (in senso metaforico) possono sperare di percorrere questa strada fin dove il loro maestro interiore glielo consente ed è per questo che essa è chiamata "la via regale o reale" e coloro che la percorrono il Re o la Regina.

Chi deve capire, capisce; chi non capisce, non deve capire.

 

Hahasiah