Intorno all'idea di evoluzione

«Senonché in natura tutto è evoluzione e tutto procede a gradi» G. Kremmerz


Chi lo proponesse, certamente troverebbe difficoltà e resistenze, a proposito di questo argomento, specialmente da parte di coloro, e non sono pochi, che sono stati fortemente influenzati dagli scritti di un Evola o un Guenon. Perciò è necessario esaminare attentamente la questione e cercare di farsi, al proposito, idee molto chiare se si vorrà dimostrare che il concetto di evoluzione non è per nulla "una aberrazione mentale tipica dell’uomo moderno", come essi dicono, bensì una concezione molto coerente, saldamente ancorata sui risultati delle osservazioni scientifiche e niente affatto in contraddizione con le autentiche tradizioni sapienziali. La messa a punto di questo problema, poi, dovrebbe essere per i novizi di grande aiuto per la comprensione di alcuni temi fondamentali della dottrina e della pratica ermetica.
Non tratteremo qui dettagliatamente l’immenso problema della cosmogenesi e dell’evoluzione del mondo ma, più specificamente, faremo una rapida sintesi del trasformismo che non è altro che l’evoluzione biologica, diremmo quasi la storia della vita. In un secondo tempo vedremo i principali aspetti di questa teoria sotto la luce della filosofia ermetica.
Prima, però, non guasterà qualche cenno sui precedenti dell’idea trasformista e sui nomi che hanno contribuito validamente alla sua affermazione per giungere con maggior coerenza alle teorie più moderne.
Come sarebbe possibile essere più trasformista di Anassimandro di Mileto che visse 500 anni prima della nostra era? "I primi viventi si sono formati nell’umido primordiale in conseguenza dell’evaporazione, dunque in un miscuglio di terra, acqua e aria. Inizialmente essi erano simili a pesci e protetti da una membrana scagliosa. Con il tempo, essi si portarono nelle regioni già disseccate dove, sbarazzatisi delle loro scaglie, continuarono a vivere. L’uomo proviene da animali specificamente differenti." Secondo questo venerabile testo, dunque, i primi esseri viventi apparvero negli oceani primordiali, conquistarono la terra ferma e diedero i natali all’uomo. Come intuizione non è male, vero? Oppure la mentalità evoluzionista è talmente penetrata nei nostri spiriti da farcela vedere anche là dove essa non è?
Ancora. Secondo lo stoicismo, l’universo progredisce secondo un piano definito a causa di certe "ragioni seminali" che fanno apparire al momento giusto le specie nuove. S. Agostino stesso, che non si può certamente considerare un trasformista ma che era fortemente compenetrato da idee stoiche, scrisse nel suo Commento letterale della Genesi: "La produzione degli esseri viventi non fu completa che nel loro principio e nella loro causa. Dio non creò già fatta la natura. Egli diede alla terra e alle acque il potere di portare alla luce, nell’epoca fissata, tutti gli esseri destinati a spandere la vita e il movimento nell’aria, nei mari e su tutti i punti del globo."
Aristotele accorda una grande importanza all’influenza dell’ambiente e a questo proposito si potrebbe dire che annuncia Lamarck. Ma dove si rivela più moderno e più profondo è nella intuizione dell’unità del mondo biologico: "La natura passa insensibilmente, in maniera continua, dagli esseri inanimati agli animati attraverso degli esseri che vivono ma che non possono considerarsi animali. [e altrove] Nelle piante si osserva un’ascensione continua verso la vita animale, per esempio nel mare si trovano certi esseri dei quali non si saprebbe dire se sono piante o animali. Tutta la scala della vita animale comporta una differenziazione graduale nella vitalità e la capacità di movimento. Tutta questa progressione si orienta verso l’uomo, il più perfetto, il più naturale degli animali."
Pian piano, attraverso alterne vicende intellettuali nei secoli, l’idea evoluzionistica si fece strada gradualmente (la principale concezione avversa è quella del fissismo secondo la quale le varie specie non derivano per trasformazione da altre, ma esistono nella forma in cui furono create fin dal principio) e finché non fu possibile superare le difficoltà che si opponevano a una descrizione sufficientemente completa e quindi a una classificazione delle specie viventi, essa procedette timidamente. I pionieri moderni furono i naturalisti che descrissero e classificarono. Veniamo quindi a Lamarck, che può essere considerato il vero fondatore del trasformismo moderno, colui che si pose per primo, con chiarezza scientifica, l’ipotesi feconda che lo stato attuale degli esseri viventi è il risultato di un lungo sforzo di adattamento che prosegue tuttora, per cui qualsiasi classificazione non può avere valore definitivo ma rappresenta solo uno stato transitorio.
Nell’anno stesso in cui morì Cuvier (il grande campione del fissismo e fondatore della paleontologia) Charles Darwin compì un viaggio intorno al mondo nel corso del quale fu profondamente colpito dalla varietà della fauna delle isole; la biogeografia destò in lui la convinzione trasformista. Due anni dopo il suo ritorno lesse il celebre Essai sur le principe de la population. La vita, secondo Robert Malthus, si moltiplica più velocemente che i mezzi di sostentamento poiché essa può accrescersi in progressione geometrica (il che non è vero) e raddoppiarsi a ogni generazione, mentre i mezzi di sostentamento non possono aumentare che in progressione aritmetica. La conseguenza evidente è che la terra sarà ben presto sovrappopolata e che gli uomini, poiché è di questi che qui si tratta, dovranno subire, se non freneranno il loro istinto sessuale, la terribile legge della selezione naturale che decima senza pietà i troppo numerosi candidati alla vita. Questa lettura fu una rivelazione per Darwin: egli intravide subito la teoria che lo farà celebre e si mise pazientemente all’opera per precisarne accuratamente i dettagli. Nel 1859 apparve il celeberrimo The Origin of Species, il libro che persuase il mondo scientifico, una volta per tutte, che molte e diverse forme organiche possiedono una comune origine; che le specie sono mutevoli e in molti casi è impossibile una loro definizione e che occorre impegnarsi nello studio del modo attraverso il quale si realizza la loro evoluzione. Nella ricerca di questo meccanismo, egli rivolse l’attenzione alle modalità con cui si verifica la variazione, alla sua persistenza e al problema della sua origine e dello sviluppo futuro.
L’asserzione fondamentale su cui si basa la teoria evoluzionistica di Darwin è che gli organi e gli istinti si sono "perfezionati attraverso l’accumularsi di piccole modificazioni, ciascuna favorevole alla sopravvivenza dell’individuo". Perché ciò avvenga è necessario postulare solo tre proposizioni: a) "Che le piccole variazioni portanti al graduale adattamento di un organo o di un istinto, sia esso attualmente esistente o sia esistito in passato, siano state ciascuna favorevole alla conservazione della specie." b) "Che tutti gli organi e gli istinti siano, anche di poco, mutevoli." c) "Che vi sia una lotta per l’esistenza che porta alla sopravvivenza di ogni vantaggiosa modificazione di struttura o dell’istinto."
Ciò implica che le modificazioni vantaggiose siano ereditarie e di conseguenza almeno quattro proposizioni sono necessarie.
Il titolo completo del libro di Darwin era L’origine della specie attraverso la selezione naturale, ossia la sopravvivenza delle razze favorite nella lotta per l’esistenza. Lo stesso Darwin paragonò l’azione della selezione naturale a quella di un uomo che edifica una casa facendo uso di pietre di ogni formato. La forma delle pietre è dovuta a cause ben definite, dice, ma l’uso al quale le pietre vanno incontro nella costruzione non è spiegabile con quelle cause. Il paragone rivela la debolezza generale del pensiero darwiniano, che considera la selezione come un fattore attivo e dirigente (in altre parole ignora il problema dell’organizzatore che sarà studiato dal trasformismo neo-darwiniano); poiché quando un uomo costruisce una casa, lo fa con un proposito ben definito, diretto a un fine prefissato e sotto la guida di un concetto chiaro di ciò che vuole. Il costruttore seleziona, nel senso proprio della parola, ma gli atti di selezione non hanno alcun rapporto con le "cause" che hanno prodotto le pietre. Essi non si possono paragonare menomamente all’azione della selezione naturale. Una metafora migliore sarebbe stata, forse, quella della disposizione delle pietre sopra una riva sabbiosa, dove le pietre più grosse si trovano sulla parte più alta della spiaggia, mentre scendendo verso il mare esse appaiono sempre più piccole, finché vicino all’acqua si trova solo una zona sabbiosa; tale disposizione è determinata dalle varie azioni dei venti, delle onde e delle maree, agenti ciascuna a suo modo, attraverso un lunghissimo periodo di tempo e in rapporto alla natura delle rocce di cui è costituita la scogliera. Insomma, si esclude in ogni modo qualunque finalismo, ogni posizione teleologica. Questo è un punto di differenziazione importante con la dottrina ermetica. Il fattore "interno" delle cose, nel darwinismo, viene programmaticamente tenuto in non cale. Vero è che nel titolo stesso della sua opera Darwin pare voglia attenuare questa impostazione; infatti dice "conservazione delle razze favorite", però poi veniamo a sapere che si tratta di razze favorite in base al fatto della loro sopravvivenza e questo appunto è il favore. Lo stesso vale per la frase "sopravvivenza dei più idonei". Nel senso dato dai primi darwinisti alla parola, i più idonei furono ingenuamente confusi con gli individui dotati di maggiore capacità fisica o atletica e talvolta si arrivò anche ad aggiungervi un corollario etico. Ma l’unico genere di idoneità compreso nella frase di Darwin è la capacità di sopravvivere.
Nonostante queste manchevolezze, la bontà della tesi fondamentale ebbe giustizia; col passare degli anni la posizione nettamente antievoluzionistica per partito preso, in base a ragioni fideistiche o filosofiche, divenne sempre meno sostenibile.
Coloro che avevano veduto nella teoria dell’evoluzione l’interpretazione razionale più plausibile di una grande quantità di fenomeni biologici prima inesplicabili andarono accumulando un numero sempre crescente di argomenti in favore di essa. L’esplorazione paleontologica si intensificò e si fecero parecchie grandiose scoperte nei terreni fossiliferi d’Europa e d’America. L’anatomia e l’embriologia comparata si illuminarono di nuova luce e fornirono, a loro volta, forti argomenti al trasformismo.
Per spiegarsi l’ostilità verso l’evoluzionismo che anche oggi si riscontra soprattutto presso i non biologi bisogna considerare come la teoria dell’origine dell’uomo dagli animali contrasta, almeno in apparenza, con il credo di varie religioni e poi a come urti violentemente l’orgoglio, la suscettibilità dell’uomo. Ancora oggi è difficile sottrarre completamente il problema a reazioni sentimentali e portarlo sul piano dell’obiettività scientifica.
All’epoca in cui Darwin e Huxley sostituirono la teoria dell’angelo caduto con quella della scimmia evoluta, dunque, pochi erano i dati paleontologici; oggi, però, molte scoperte sono venute a dar fondamento a una teoria così rivoluzionaria. Cerchiamo di riassumere i fatti. Innanzi tutto possiamo stabilire, per comodità, tre tappe nell’evoluzione dell’umanità. La più recente è quella che parte da uno stadio in cui non vi è dubbio che possa parlarsi di genere Homo nel senso zoologico. La seconda, andando a ritroso, è quella rappresentata da antenati sostanzialmente diversi dall’uomo attuale e più simili ai presunti progenitori scimmieschi. La terza, più antica, è quella in cui questi progenitori si sono differenziati dal ramo delle scimmie, per costituire il phylum evolutivo, il cui ultimo prodotto è appunto l’uomo attuale.
La tappa più recente è documentata dai resti di scheletri umani e manufatti che sono opera dell’uomo; molte sono le scoperte fatte in questi ultimi tempi e molte ancora sono da attendersi nel futuro. Tuttavia, nonostante l’ausilio dei metodi moderni (come la misura del contenuto in fluoro delle ossa, che aumenta con l’aumentare dell’età) non è facile impresa la datazione e l’interpretazione precisa dei resti fossili umani più antichi. Si sono potuti però seguire, con una certa approssimazione, i primi passi dell’evoluzione dell’uomo, che si svolge attraverso le vicende geologiche delle glaciazioni e dei periodi interglaciali, e si è potuto constatare come a mano a mano egli abbia affinato l’arte di costruire arnesi da caccia e da lavoro scheggiando e selci e lavorando le ossa in modo sempre più fine e perfetto (neolitico). Per centinaia di millenni e su vastissime estensioni geografiche gli oggetti di pietra scheggiata prodotti da questa umanità primitiva sono di una monotonia, di una costanza di forme, nel tempo e nello spazio, veramente impressionanti. Questi ominidi hanno continuato a scheggiare la pietra con lo stesso procedimento tecnico producendo scarsissimi tipi di utensili che venivano adoperati per tutti gli usi, senza mai compiere un progresso, un’invenzione, che consentisse loro di fare un passo innanzi sostanziale. La grande complessità culturale del paleolitico superiore si è venuta costituendo, per quanto si riferisce alla cultura materiale, per svolgimento da una primordiale semplicità, semplicità durata enormemente a lungo, per varie centinaia di millenni, con pochi e lenti progressi. Poi, vicino alla fase culminante dell’ultimo periodo glaciale, è avvenuta, a un certo momento, come una fioritura improvvisa e in tempo relativamente breve, nel corso forse di ventimila anni, si sono compiuti una quantità di progressi e di invenzioni che l’uomo non aveva effettuato nelle centinaia di millenni della sua vita precedente. Si ha l’impressione di un fenomeno esplosivo in cui, alla staticità culturale che caratterizza i periodi precedenti, subentra un intenso dinamismo inventivo. Un analogo processo si osserva nel campo somatico. Affinamento, quindi, della materia pesante del corpo e il sorgere dell’intelligenza e dopo l’età della pietra attraverso l’età del bronzo e l’età del ferro l’uomo passa dalla preistoria alla storia.
Non vi è dubbio, perciò, che vi è stata evoluzione e oggi si ammette che per l’uomo questa è dovuta essenzialmente all’intelligenza e alla capacità di comunicare le proprie esperienze, i propri pensieri e le proprie scoperte. Un modo di evoluzione alquanto diverso da quello in atto fra gli animali e i vegetali e non accompagnato da troppo grandi variazioni morfologiche. Un modo di evoluzione che ha permesso a quest’ultimo venuto sulla faccia della terra di procedere, con una velocità mai prima realizzata, alla conquista del mondo anche se essa non ha progredito parallelamente in tutti i ceppi umani.
Per terminare la prima parte di questo brevissimo studio riportiamo una pagina di Montalenti, titolare dal ’60 della cattedra di genetica nella facoltà di Scienze dell’Università di Roma, che può rendere bene l’idea della problematica attuale sull’antropogenesi. "L’avventura di questo bipede singolare, alla cui specie noi apparteniamo, è stata finora brevissima, relativamente alla scala geologica: cento, duecentomila anni o mezzo milione sono un tempo assai corto in confronto alla durata della vita sulla terra. I seimila anni della storia sono un attimo a paragone di un miliardo. E anche se si confronta la durata dell’evoluzione delle specie animali e vegetali e la lentezza delle loro variazioni con la velocità dell’evoluzione umana, non si può non rimanere colpiti dalla rapidità con cui l’uomo si è reso padrone dei propri destini e ha saputo conquistare il mondo. Quali sono le caratteristiche che hanno reso l’uomo così diverso dagli animali? La caratteristica più importante e tipica degli Ominidi deve essere stata la stazione eretta, la quale ha liberato le mani dalla funzione deambulatoria e ne ha consentito l’uso come strumento adatto ad altre imprese. Forse anche lo straordinario sviluppo del cervello e la conseguente riduzione del prognatismo facciale sono derivati da questa nuova abitudine: la stazione bipede. La fabbricazione di strumenti, la quale richiede un certo grado di previsione, oltre che una notevole abilità e un alto grado di coordinamento delle esperienze sensibili e della attività motoria, è certamente la più tipica e la più precoce caratteristica che distingue l’uomo dagli animali. Poi intervengono altri fattori, come la possibilità di apprendere e di comunicare, che sono alla base della vita sociale. Da questi elementari tratti si sale gradualmente fino alle più elevate manifestazioni della vita spirituale, come è documentata dai dati della preistoria e della storia. Non vi è dubbio che rudimenti delle caratteristiche tipicamente umane si trovano negli animali e in particolare nelle scimmie. Le ricerche di psicologia comparata, che si vanno sempre più intensificando ed estendendo, recano molte prove di questa asserzione. Si pone, quindi, il problema che ha grande importanza filosofica: vi è nella natura umana qualche cosa di qualitativamente diverso da quello che si trova negli animali, oppure si tratta soltanto di differenze di grado, l’intelligenza umana potendosi concepire come un perfezionamento delle facoltà psichiche che sono proprie degli animali superiori? Le risposte che si possono dare a queste domande sono dettate prevalentemente da idee preconcette, cioè dalle posizioni filosofiche e religiose personali e perciò sono nettamente diverse. Coloro che aderiscono ad alcune fedi religiose o a determinate correnti filosofiche, come ad esempio la filosofia idealistica, non possono accettare integralmente l’idea dell’origine animale dell’uomo. Oggi, di fronte all’evidenza dei fatti, anche essi sono costretti ad accettare l’evoluzione, compresa quella del corpo umano. Ma nell’impossibilità di aderire anche alla soluzione materialistica dell’origine della psiche umana, essi si attengono all’una o all’altra di queste due soluzioni: intervento diretto della divinità, la quale a un dato momento della storia evolutiva ha insufflato l’anima nel corpo che si era venuto evolvendo dagli animali; oppure, evoluzione tutta preordinata dalla mente suprema, la quale ha avuto sin dall’inizio lo scopo preciso di creare l’uomo. E’ l’evoluzione telefinalistica di cui abbiamo parlato e che abbiamo giudicato scientificamente inaccettabile.
Invece, i biologi della scuola positiva o lasciano impregiudicata la questione, dichiarando la propria incompetenza, il proprio agnosticismo nei riguardi della questione che non considerano attualmente risolubile in sede scientifica, oppure, più spesso, accettano la soluzione integrale: che non vi sia una differenza qualitativa, ma soltanto di grado fra l’intelligenza degli animali e quella dell’uomo. La differenza quantitativa è oggi certamente molto forte e può dar luogo a caratteristiche e ad attività che appaiono anche qualitativamente diverse, ma fondamentalmente il passaggio dalla animalità all’umanità è stato un salto quantitativo. Un salto che, una volta compiuto, ha aperto una via praticamente illimitata alla successiva evoluzione. Alcuni autori hanno cercato di precisare qual è stato il passaggio del Rubicone, come essi dicono, cioè dove è il confine fra animale e uomo, tentando di precisarlo in termini di capacità cranica. E’ noto che questa va aumentando progressivamente man mano che ci si sposta dalle scimmie inferiori alle antropomorfe, verso le forme preumane, fino all’uomo. Non è facile porre un confine in un processo che ha tutta l’apparenza di essere continuo; e le oscillazioni piuttosto ampie dei valori della capacità cranica che si riscontrano nell’ambito della stessa specie rendono il compito anche più arduo. Tuttavia non vi è dubbio che questo carattere, che rispecchia in modo piuttosto approssimato ma sostanzialmente esatto l’efficienza delle capacità intellettuali, ha avuto la sua evoluzione. Questa evoluzione ha condotto a un nuovo tipo di possibilità evolutiva affidato, anziché alla selezione naturale e alle sole forze fisiche, al vigore dell’intelletto umano. Il suo risultato è stato poderoso, rivoluzionario. Il processo è ancora in cammino e il moto si fa sempre più veloce, con un’accelerazione che sorprende e, in un certo senso, preoccupa. Auguriamoci che tale evoluzione sia sempre diretta al bene dell’umanità e che i fini più nobili ed elevati prevalgano sui più bassi e materiali (Montalenti: L’evoluzione, Piccola Biblioteca Einaudi, 1965)".