Il problema alchimico

«Voi non potete raggiungere il vostro scopo senza inclinazione e senza pazienza e senza avere il coraggio di attendere, perché chi non avrà pazienza non penetrerà in quest’arte. Voi cercate un grande segreto; perché dunque non volete darvi da fare?»

Turba Philosophorum


Tanto antica quanto l’astrologia e, com’essa, con le sue radici che si estendono fino alle sorgenti stesse dell’antico sapere umano, misteriosa nella sua origine, nei suoi principi, nella sua lingua ricca di simboli e di allegorie, nella sua dottrina come nei suoi modi di realizzazione pratica, ammirata dagli uni, derisa dagli altri, scienza sempre tanto alta e tanto impenetrabile, l’alchimia non ha mai cessato, nel corso dei secoli, di essere il grande enigma dell’occultismo. E oggi ancora nel nostro secolo scientifico, così come al tempo delle grandi dinastie egiziane, ad onta di tutte le scoperte accumulate, malgrado tutti i multipli tentativi di forzare il mistero che l’avvolge, la scienza ermetica, arte sacerdotale o arte regale, resta come un tempo il privilegio gelosamente custodito da un pugno di adepti, per la maggior parte dai nomi sconosciuti.
L’alchimia non è solamente una scienza, non è solo un’arte; essa è a un tempo, per chi vuol darsi la pena di approfondirla, una scienza, un’arte, una filosofia, una religione. Lungi dal limitare la sua azione al piano fisico-chimico dei fenomeni materiali, in luogo di essere semplicemente una scienza di laboratorio, pretende raggiungere e reggere i fenomeni vitali dei regni vegetale e animale. Più ancora, essa pretende governare l’evoluzione stessa dell’essere umano tanto morale che fisica, nonché reggere lo sviluppo sociale dell’umanità e, ancor più in là, vuole scrutare e dirigere le leggi che regolano l’evoluzione dell’universo.
Non è da negarsi che vi siano stati, nel corso dei secoli, degli adepti e delle trasmutazioni autentiche, certe, indiscutibili. Ma se, abbandonando questo aspetto scientifico, interroghiamo i documenti più venerabili in cui fu simbolicamente consegnata l’antica saggezza umana, se noi consultiamo la Bibbia, non già libro di un uomo o di un popolo, ma libro ispirato in cui si concretizza il sapere di varie generazioni, ci domandiamo quale possa essere il senso simbolico di quel fiume Phison che sorge dal giardino di Eden e circonda il paese ove nasce l’oro.
Che cosa è dunque questo misterioso albero di vita eretto al centro stesso del giardino Edenale? Che significa quel fiume che bagna il giardino, culla dell’umanità, e che, uscendo di là, si divide in modo cruciale o quaternario?
Al di fuori della Bibbia in cui ritornano con una persistenza voluta e significativa le cifre e i simboli misteriosi: ternario, quaternario, settenario, duodenario, triangolo e croce, animali simbolici della visione di Daniele e di Ezechiele o del Profeta dell’Apocalisse, al di fuori dei libri sacri dell’India e della Persia, il Tarocco dei Bohemiens, questo legato della primitiva saggezza così antico da far risalire la sua origine al di là degli atlantidi sino alla civilizzazione Chamita, ci presenta esso pure gli stessi simboli appena modificati, tanto è vero che l’esoterismo, sotto le sue manifestazioni diverse attraverso differenti popoli, non è che la espressione di una sola e stessa tradizione estremamente antica, di una sola e stessa rivelazione la cui origine sfugge alle ricerche della Storia.
Tutte queste questioni e tutti questi problemi non sorgono dall’alchimia ordinaria o metallica, ma fanno parte di un dominio vastissimo della metafisica trascendentale. Su questi problemi che sorpassano la filosofia comune, certe rivelazioni dell’alchimia mistica proiettano delle turbanti luci su chi sa penetrare il senso segreto delle loro misteriose allegorie.
Nella concezione volgare, l’alchimia è la scienza che insegna a trasmutare i metalli e, in un senso più particolare, è la scienza che insegna a fabbricare l’oro e l’argento partendo dai metalli inferiori. Per il volgare l’oro è il simbolo della potenza, il mezzo per soddisfare tutti i desideri e tutte le gioie. Di oro è fatta la corona che cinge la fronte dei Re, ed è sull’oro che i signori e i «nuovi ricchi» di questo mondo fondano la loro potenza.
A questo oro volgare che rappresenta uno dei poli, il polo materiale e grossolano della potenza umana, l’alchimia trascendente oppone l’oro spiritualizzato, l’oro mistico della carità e dell’amore vivificante, quell’oro che i Re Magi deposero come simbolo, con l’incenso e la mirra, ai piedi del fanciullo-Dio, oro rigenerato e incorruttibile che solo potrà riscattare l’umanità decaduta.
Nella concezione volgare, la fabbricazione dell’oro comune è lo scopo unico dell’alchimia, e la pietra filosofale o polvere di proiezione è il mezzo di cui l’alchimista si serve per raggiungere il suo scopo. In altri termini, per il volgare profano, il segreto alchimico riposa tutto intero nella conoscenza di questa Pietra, nella conoscenza della materia prima che serve a prepararla, come nei suoi modi di preparazione. Tale è l’alchimia, considerata nel suo aspetto più grossolano e secondo la concezione più frusta. Ma se la si osserva dal punto di vista filosofico, essa è un po’ più di questo e se la si considera dal punto di vista occulto o esoterico, essa sorpassa di molto questo ristretto quadro che la concezione popolare le assegna.
In effetti, per fabbricare l’oro e l’argento partendo dai metalli più grossolani quali il piombo e il mercurio, vale a dire per effettuare una trasmutazione, bisogna ammettere l’unità di essenza di queste forme materiali diverse. Bisogna ammettere che le forme multiple sotto le quali si presenta la materia da noi conosciuta: elementi semplici, metalli, metalloidi e loro innumerevoli combinazioni, non siano altro che delle apparenze diverse, delle specificazioni accidentali e transitorie, più o meno durevoli, di una stessa materia, della materia Una, degli stati di equilibrio differenti, più o meno stabili, di uno stesso substrato unico o materia primordiale, ENS PRIMUM, MATERIA PRIMA dei filosofi di un tempo, i quali – come fa Gastone Claveus nella sua «Apologia Argyropoeioe Crysopoeioe» - distinguevano una materia prossima – (m. proxima) a mezzo dei quattro elementi, e infine una materia lontana (m. remota) vera materia prima non colta dai sensi, ma solo dall’immaginazione e dall’intelligenza.
Questa concezione filosofica unitaria è alla base della metafisica alchimica. Ammessa una volta questa concezione, la mutua trasmutazione degli elementi appare come una possibilità logica e razionale. Ma se al contrario, come lo si faceva un tempo non remoto, appena qualche anno fa, si ammette la specificità degli elementi chimici, l’ipotesi alchimica è necessariamente una pura chimera.
Dopo le numerose e successive scoperte di questi venti ultimi anni in radioattività, questa nozione dell’unità sostanziale degli elementi materiali sembra oggi semplicissima; essa è anche divenuta, in qualche modo, una nozione scientifica; non lo era quando noi professavamo, trenta anni or sono, le stesse teorie. Allora ci si considerava come degli utopisti che edificavano delle ipotesi contrarie alla realtà dei fatti. Se le cose si sono oggi invertite, non è perché l’alchimia sia divenuta scientifica. La dottrina alchimica non è variata; essa ha serbato la sua concezione unitaria, ma è la scienza stessa che, costretta dall’accumulo dei fatti nuovi, ha modificato la sua filosofia, facendovi rientrare l’antica concezione alchimica o unitaria.
Se la materia è una, se gli elementi – diversi in apparenza – non sono che degli stati di equilibrio differenti di un substrato materiale identico nella sua essenza, bisogna ben ammettere che questa diversità apparente ha una causa capace di spiegarla.
Noi abbiamo da una parte degli elementi diversi o forme attuali e, all’origine, un substrato identico o materia essenziale. Ove e come trovare l’origine di questa differenziazione? L’osservazione dei fenomeni fisico-chimici ci fa vedere che non solo gli stati fisici di uno stesso elemento sono suscettibili di provare delle grandissime variazioni, ma inoltre che la costituzione chimica di questo elemento può essa pure variare in proporzioni considerevoli sotto l’azione di diversi modi energetici.
Così il numero delle linee spettrali del ferro varia da parecchie migliaia a qualche dozzina, secondo la temperatura alla quale questo metallo è sottomesso, temperatura dell’arco voltaico o temperatura di una scintilla.
L’azione metallica (martellamento, distensione), il calore, la corrente elettrica, modificano profondamente la natura degli elementi, ciò che si potrebbe chiamare la tessitura intima dei tessuti metallici, e imprime loro delle nuove proprietà. Il fosforo rosso differisce notevolmente dal fosforo bianco ordinario per le sue proprietà tanto fisiche quanto chimiche. L’ozono non è più l’ossigeno. I prodotti di dissociazione degli elementi radioattivi subiscono tutta una serie di metamorfosi, corrispondenti a degli stati di equilibrio materiali, fisicamente e chimicamente assai differenti gli uni dagli altri.
In tutte queste trasformazioni che non escono affatto dal dominio del laboratorio, il passaggio da una forma a un’altra si opera fornendo al corpo un’energia supplementare sotto forma di luce, di calore, di energia meccanica o di corrente elettrica. Inversamente, nelle trasmutazioni spontanee dei metalli radioattivi, queste si accompagnano con una dispersione di energia, relativamente enorme in rapporto alla minima frazione di materia dissociata. Da cui si può concludere che per una stessa sostanza materiale formante il substratum comune ai corpi, le forme che riveste questa materia (elementi chimici) sono in stretta correlazione con la quantità di energia di cui questo corpo è dotato a un qualsiasi momento. L’elemento radioattivo situato assai in alto sulla scala dei pesi atomici, al limite degli equilibri dei materiali stabili, può essere paragonato a una molla tesa al massimo del suo potere di elasticità, o meglio a un potente esplosivo che nasconde, sotto la sua inerzia apparente, una considerevole energia distruttrice. Viene dall’esterno una eccitazione relativamente leggera, e la molla si rompe proiettando lontano i suoi frammenti, e l’esplosione deflagra brutalmente, liberando di un sol colpo tutta l’energia che era occorsa alla sua formazione.
L’energia appare così come il terzo termine della trilogia dei principi alchimici, di cui gli altri termini sono rappresentati dal principio materiale e dal principio formale.
La materia è una e identica in tutti i corpi, ma la proporzione interna (destinata a mantere l’equilibrio intra-atomico) varia da un elemento all’altro. Le forme o apparenze o elementi chimici propriamente detti, corrispondono a degli stati di equilibrio diversi, stati di equilibrio essi stessi dipendenti dall’energia intrinseca e fondati su rapporti geometrici, come lo prova la struttura cristallina dei metalli, e su rapporti matematici, come lo dimostrano ugualmente con suprema evidenza le classificazioni periodiche di Newlans, di Chancourtois, di Mendéléef.
Questi tre principi della metafisica alchimica: materia, energia, forma, sono precisamente i tre principi degli alchimisti di una volta: SALE, MERCURIO E ZOLFO.
Il SALE è il simbolo della sostanza, della conservazione, della fissazione. Il Sale è quella terra vergine che non ha ancor prodotto nulla, dichiara Planis Campy nella sua «Ouverture de l’Escolle de Philosophie trasmutatorie», cioè quel substrato amorfo, indifferenziato, terra vergine nella quale lo Spirito del Mondo (o energia) si converte, cioè sposa delle forme diverse.
E Raimondo Lullo nel suo «Testamento», afferma che al centro di tutte le cose si trova una certa terra vergine: In centro omnium rerum inest quaedam terra virgo. Questa terra vergine è la sostanza primordiale, o sale, non ancora individualizzata.
Al MERCURIO, al contrario, si allea la concezione di mobilità, di instabilità, di moto perpetuo, l’idea di qualcosa di fuggitivo, che sfugge tra le dita senza nulla lasciare della sua sostanza intima. Il Mercurio dei Filosofi è, essi affermano, «la nostra acqua che non bagna le mani».
Infine lo ZOLFO rappresenta il principio delle forme. Come lo dichiara Planis Campy nel suo «Bouquet chimico», «lo zolfo è l’olio o resina del corpo che contiene in sé il fuoco di natura, nutritore e conservatore della vita, mezzo di ogni vegetazione, accrescimento e trasmutazione, che ha la virtù di tenere e congiungere le estremità contrarie del Mercurio e del Sale».
Tutti gli esseri, a qualsiasi regno appartengano, insegna la vecchia tradizione alchimica, sono fatti di sale, di mercurio e di zolfo; tutti gli esseri del regno minerale, in particolare, e più particolarmente ancora i metalli, sono costituiti da questi tre principi. Ma nella maggior parte dei corpi questi principi sono impuri, grossolani, imperfetti, male equilibrati. Essi non si trovano allo stato di perfezione, uniti in proporzione ideale, che nell’oro.
Ora lo scopo dell’alchimia, considerato sul piano materiale, essendo la purificazione dei metalli o la loro evoluzione progressiva, il problema alchimico consiste nel trovare il modo di accelerare questa evoluzione metallica che la natura sola compie in modo lento.
La Pietra filosofale o Polvere di proiezione o Tintura del metalli, non era altro che la sostanza preparata a mezzo dell’arte, capace di provocare la rottura degli stati di equilibrio materiale e di portare in un tempo cortissimo i metalli imperfetti allo stato di perfezione metallica. Pietra filosofale la cui conoscenza è riservata solo ai filosofi, veri e pazienti inquisitori o investigatori delle leggi di natura; Pietra o materia fissa dell’Opera, dissolta dapprima, poi coagulata nel corso delle operazioni dell’opera ermetica; polvere di proiezione, detta così perché si proiettava sui metalli allo stato di fusione; tintura dei metalli o tintura illuminante, perché tinge o illumina i corpi naturali e, senza mutare la loro essenza radicale primitiva, conferisce loro una nuova forma più perfetta.
Questa pietra o tintura, risultato della Grande Opera Ermetica, non è altra cosa che un fermento metallico, ciò che oggi si chiamerebbe in chimica un catalizzatore cha ha per scopo di sostituire a uno stato di equilibrio metallico, un altro stato di equilibrio più stabile, oro o argento, secondo il grado al quale esso stesso è stato spinto; Pietra al bianco per l’argento, Pietra al rosso per l’oro.
La preparazione di questo Fermento minerale o Pietra filosofale è stata descritta in diversi modi dagli antichi autori.
Gli uni hanno impiegato il procedimento designato sotto il nome di via secca; altri il procedimento detto via umida.
Talvolta la preparazione, o per lo meno una parte delle operazioni, sembra essere descritta in termini chiarissimi, come per esempio in certi passaggi dell’«Introitus apertus ad occlusum Regis Palatium» del Filalete. Ma vi è una cosa che mai in nessun trattato è stata designata in modo esplicito: è la materia prima che serve a confezionare l’opera.
La maggior parte degli autori ha dichiarato che questa materia prima è unica, altri ne vogliono due, altri un più gran numero. Certuni pretendono trarla dal regno animale o vegetale, la maggior parte dice che bisogna estrarla dal regno minerale soltanto, mentre il filosofo Morieno afferma al Re Calid che essa è ovunque, che è in lui stesso e che lì conviene cercarla, affermazione che nel caso presente deve essere interpretata in un senso affatto simbolico.
La stessa incertezza è sulla natura esatta del fuoco o agente segreto della Grande Opera; anche esso è stato designato sotto molteplici nomi e, secondo gli autori, è uno o parecchi: fuoco innato, fuoco centrale, fuoco innaturale, fuoco celeste.
La maggior parte degli alchimisti, in effetti, distingue il fuoco interno che è l’essenziale, e il fuoco esterno, che serve unicamente a eccitare e a condensare il fuoco interno, poiché la materia prima dell’opera deve pervenire alla perfezione da per sé e senza alcun miscuglio o addizione.
In nessuna opera ermetica si può sperare di trovare la soluzione precisa del problema essenziale dell’alchimia. Nessuno può far conoscere questo segreto se non lo possiede lui stesso, e d’altra parte nessun adepto ha mai tradito il segreto che lega i figli di Ermete.
La rivelazione, quando c’è, è dissimulata sotto un tale lusso di allegorie, di enigmi e di termini strani, che è impossibile al profano di scoprirne il senso celato.
In realtà, l’interpretazione delle parabole alchimiche e la conoscenza della prima materia o del suo modo di preparazione, resteranno sempre ostinatamente chiuse a tutti coloro che vorranno attenersi al lato puramente materiale e terra terra dell’alchimia.
Dietro le apparenze materiali, al di sotto delle forme, in seno alle illusioni passeggere, l’adepto cerca la sostanza prima della Grande Opera, cioè la sostanza energia proiettata dalla volontà del Padre nel seno della Vergine Celeste, questa energia proiettata è sparsa ai confini del mondo realizzato, in ciò che erano le tenebre o l’abisso.
Per ottenere il Fuoco dei Saggi, questo fuoco simbolico che non ha niente di comune col fuoco volgare, egli andrà ad attingerlo nell’immensa onda di vita che incessantemente si dispiega, oscillante e ritmata, fino all’estremo limite che separa l’Essere dal «Forse» (PeutÊtre), ai margini di quel deserto ove si esercita l’attività di Marte notturno il precursore.
Allora si chiariscono e divengono intelligibili le affermazioni oscure dei vecchi maestri. Che la materia non abbia che un nome, dice Planis Campy, questo è certo, cioè: Spirito di vita. Che essa ne abbia parecchi è indubitabile, perché ne ha tanti quanti sono i Misti dai quali questo Spirito è specificato.
I CANONI ERMETICI insegnano che Ermete Trismegisto ha meritato di essere chiamato il Padre dei Filosofi per aver cercato la tripla sussistenza dei tre regni IN UNA ESSENZA CREATA. Egli insegna anche che in questo Mercurio si trova una virtù vegetante che non è comune, che da questo Mercurio dipende e proviene il movimento e il flusso della natura umana, che la massa del limbo del grande e piccolo mondo dal quale l’uomo è stato fatto, può aumentare, conservare e mantenere tutte le forze e le virtù della natura, sempre che essa sia debitamente convertita e portata in un corpo astrale fisso, e infine che questo limbo procede da un’acqua che non è volgare, ma è «UN’ACQUA CHE SORGE DA UNA CERTA ACQUA CHE HA PATITO E SOFFERTO E CHE È DAVANTI AGLI OCCHI DI TUTTI».
La trasmutazione metallica non è, in realtà, che un dettaglio accessorio in rapporto all’alchimia trascendentale, la quale ha per scopo lo studio delle leggi dell’evoluzione universale e l’acceleramento del ritmo di questa evoluzione, come più innanzi si è detto. Poiché l’essere umano è triplo in sua natura e vivente a un tempo su tre piani differenti, l’alchimia studia la rigenerazione dell’uomo e la sua purificazione su ognuno di questi piani: piano materiale o fisico, piano astrale o sensibile, piano volitivo o intellettuale.
Esiste un’igiene dello Spirito e un’igiene astrale come esiste un’igiene del corpo fisico.
La purificazione dei desideri sensibili, dei pensieri, va di pari passo col mantenimento della salute fisica, alfine di equilibrare armoniosamente questi tre ordini di fenomeni vitali simultanei, e ciò si compie a mezzo dei quattro elementi, simboli del quaternario, simboli dell’energia agente e del sacrificio. È attraverso la conversione degli elementi che il ternario purificato si trasforma nell’Unità monadica, dice Ruggero Bacone: «PER ELEMENTORUM CONVERSIONEM TERNARIUS PURIFICATUS FIAT MONAS». Questa purificazione si opera con l’aiuto del Fuoco secreto dei Saggi, questo primo operaio e principio delle cose, che li conduce sino alla loro perfezione ultima, dichiara Planis Campy. «A mezzo del Fuoco Dio trasmette dal mondo intelligibile al celeste e da questo all’elementare, tutti i tesori della Natura, affinché a mezzo della comunicazione di questi, tutto si muova, si crei, si vivifichi in tante vite particolari quante sono le matrici, di cui l’Embrione, fecondato dallo Spirito del Mondo, riceve la sua perfezione per una viva simpatia che il Padre ha per il Figlio».
Questa simpatia o amore reciproco è il principio formale che nella sua essenza e quanto al suo scopo ideale, tende a portare ogni cosa all’ultima perfetta sintesi.
La Pietra dei Filosofi, pietra o non pietra, tintura illuminante, non deve essere intesa solo in senso materiale e concreto. Nel senso intellettuale è la conoscenza, conoscenza dei principi e della loro messa in applicazione, frutto dell’albero della scienza, colto con uno scopo egoistico o per acquisire il summum di potenza, ma desiderato, voluto, acquistato infine a prezzo di sforzi perseveranti e di continuo sacrificio.
Come lo dichiara Paracelso, la Tintura dei Filosofi è una materia mobilissima che tinge i corpi metallici e umani e li cangia in una essenza assai più eccellente e in un modo di essere assai più perfetto di quello di cui godeva dapprima; essa penetra i corpi e li fa fermentare come il lievito.
Bisogna in un primo tempo purificare la materia prima delle sue impurità e dalle superfluità che traggono dalla sua macula originale: purificazione fisica, purificazione astrale del mondo dei desideri, purificazione mentale.
Poi viene la putrefazione, periodo di prova, la quale, perseguendo l’analogia col soggiorno di Cristo nel deserto dopo il suo battesimo, dura quaranta giorni, come dura ugualmente quaranta giorni il periodo del diluvio, come sono in numero di quaranta le ore del Cristo nel sepolcro. È il periodo di annientamento temporale, il periodo di sacrificio, il quale si opera secondo il modo cruciale dei quattro elementi, è il colore nero che simbolizza i limiti del NON-ESSERE, là ove le monadi ritornano alla loro primitiva purezza. Poi a poco a poco, progressivamente la materia si riveste del color bianco; ma non è lì ancora che una perfezione relativa; bisogna continuare a spingere l’azione del fuoco fino a che la materia si rivesta del color rosso-porpora e risusciti gloriosamente per salire al cielo a giudicare (cioè a dirigere) i vivi e i morti, per purificare i corpi imperfetti e per trasmutarli in quell’oro purissimo il cui colore simbolizza il corpo glorioso del Cristo.
Un vecchio autore afferma che quegli il quale vorrà nettare la Testa del Corvo (la materia al nero), deve farla discendere sette volte nel fiume di rigenerazione: il Giordano. E la TURBA dichiara che l’opera deve cuocersi sette volte, e che ognuna delle sette, va dato un colore sino alla sua perfezione.
Ora, per colore bisogna intendere la qualità corrispondente ad ogni pianeta astrologico, inteso nel senso filosofico.
Così a Saturno corrisponde la fissazione, a Marte l’attività in modo divisionale, a Venere la potenza di espansione, e così dicasi degli altri pianeti.
Come vi sono tre principi fondamentali, SALE, MERCURIO, e ZOLFO, vi sono, dunque tre stati principali nella preparazione: materia al nero, al bianco, al rosso, e i quattro elementi che giocano il loro ruolo nella costituzione dei corpi e presiedono anche alle operazioni della Grande Opera.
L’addizione di tre più quattro dà il settenario, settenario dei metalli e settenario delle operazioni in arte alchimica. Questi due numeri, moltiplicati l’uno per l’altro, danno il duodenario che ha la sua importanza in alchimia come in astrologia.
I dodici segni dello zodiaco sono, infatti, le dodici porte a mezzo delle quali le anime penetrano nel campo di attività terrestre.
Ricordarsi, peraltro, che prima di iniziare l’opera, è necessario imparare a conoscere se stesso, e, di esso, la sua vera natura, la sua origine, la sua potenza, il suo scopo. Tale è il senso riassunto nel vocabolo alchimico:
VITRIOLUM: «VISITABIS INTERIORE TERRAE, RECTIFICANDO INVENIES OCCULTUM LAPIDEM, VERAM MEDICINAM», CHE COMPLETA L’ANTICA MASSIMA DEGLI ISTRUTTORI: «Lege, relege, labora, ora et invenies».

Dr. Emile Delobel

(Trad. di N. d’Anglar, Tratto dal n. 84 della Rivista «Le Voile d’Isis» - Dicembre 1926, Edizione Chacornac – Paris)