Bertino il malvagio

Questo brano è tratto dal prologo di Occultismo, vol I,
Franco Spinardi, ed. All’insegna di Ishtar.
Abbiamo scelto di pubblicarlo tra le pagine del nostro sito in quanto
 rappresenta le fissazioni dell’apprendista, vinto dal suo stesso misticismo.

La notte di Bertino il Malvagio era sempre lunga e faticosa. Egli prima d'andare a letto doveva disporre i vestiti in modo speciale, panneggiati secondo certe regole; non impiegava meno di mezz'ora per far questo. La sola posa delle scarpe assorbiva circa dieci minuti: dovevano avere la punta rivolta ad oriente e poggiare su un unico mattone, ed era necessario che i lacci non toccassero terra e fossero rivolti a mezzogiorno. Bertino il Malvagio le poggiava una volta, e se l'operazione non riusciva al primo tentativo la riprendeva sei volte, perchè non poteva toccare gli oggetti che una volta o sette volte; e se alla settima il risultato non era soddisfacente, doveva metterle altre sette volte a terra. Certe sere, poi, l'impresa riusciva felicemente al primo tentativo. Ma anche in questo caso la faccenda andava per le lunghe, perché Bertino cominciava a pensare: - Me la sono cavata a buon mercato: questo non è giusto, mi porterà sfortuna!
E ripeteva le operazioni altre sei e poi sette volte, e via di questo passo.
Finalmente si accingeva a coricarsi. Ma gli veniva l'idea di non aver chiuso bene la porta della camera. Andava ad assicurarsene; poi tornava a letto, ma subito pensava che, forse, toccando la maniglia aveva riaperto la porta. Si rialzava. La maniglia era chiusa; la stringeva fino a farsi male (gli erano venuti i calli alle mani, per questo), e si rimetteva a letto. Qui gli sorgeva il dubbio d'aver toccato due volte la maniglia: doveva ripetere il travaglio per altre cinque volte.
Spesso decideva di liberarsi da queste manie. Ma pensava: - Se ci provo, mi ammalerò.
E ci ricadeva. 
Per tentare di affrancarsi, qualche volta si diceva: -Se lo faccio, mi capiterà una disgrazia. Ma poi:- Questo è un comodo pretesto; se non osservo le solite regole, morirò. E ricadeva nelle sue smanie.
Tremava al pensiero di restar solo, perché la compagnia era per lui un riposo e perché gli impediva di abbandonarsi alle fissazioni che lo torturavano. Ma anche in compagnia coglieva i momenti di distrazione degli altri per pulirsi la punta delle scarpe, sette volte, con la manica della giacca; oppure si nascondeva dietro un paravento per compiere questa strana operazione.
Bertino, dopo aver osservato le consuete regole nella disposizione dei vestiti e delle calzature, preparò una limonata, la bevve e, gettato il mezzo limone in terra, si mise a letto e spense il lume. Stava per prendere sonno, quando gli venne l'idea che il limone non fosse caduto nella posizione giusta. Si ricordava che era proprio andato a finire in un angolo, ma non aveva guardato se la parte tagliata fosse volta verso il muro o verso di lui: in questo caso, era una sinistra designazione.
-Che sciocchezze! - pensò.- Caschi il mondo, non mi rialzo per mezzo limone!
Bertino, in mezzo al silenzio della sua bicocca, con gli occhi sbarrati nell'oscurità della camera, pensava al mezzo limone.
Ogni tanto accendeva la candela e lo guardava: l'odioso agrume era là, nell'angolo della stanza, rivolto verso di lui.
- Non mi alzo! - pensava con rabbia. Se si fosse alzato, avrebbe dovuto levarsi altre sei volte. Spegneva di nuovo la candela e cercava di dormire.
La mezzanotte era passata da un pezzo ma, non appena allo scuro, il mezzo limone gli appariva davanti alla mente.
Il poveretto cercava di pensare ad altro, ma l'immagine del mezzo limone gli stava nel cervello. - Se non lo metto a posto, morirò - pensava. -Ma che sciocchezze  sono queste? Io non posso soggiacere ad una simile schiavitù! Devo vincermi. Ecco: se lo metto a posto, morirò!
Ma il mezzo limone era là nell'angolo, voltato verso di lui.
Bertino s'alzò: il mezzo limone aveva vinto. Il Malvagio riaccese la candela e andò a metterlo a posto. Poi ripetè la stessa operazione per sei volte.