Elogio del celibato

1. - Alla fine, a favore del matrimonio rimane soltanto la considerazione che si sarà curati nella vecchiaia e nella malattia e che si avrà un proprio focolare. Ma anche questi mi sembrano vantaggi illusori: mia madre ha forse curato mio padre quando era malato? Il benvenuto più cordiale non ci viene forse dato in albergo? E l'intera vita non è forse un diversorium, un semplice ostello? Per quanto mi sembri dubbio che la vita appartata, di cui esseri come me hanno bisogno, sia possibile nel matrimonio piuttosto che nel celibato, riconosco che per me quest'ultimo è d'obbligo se non altro perché io, dopo una scrupolosa analisi di me stesso, non sento in me né il coraggio, né la capacità, né la vocazione per farmi carico dei fardelli del matrimonio. In me hanno sempre predominato la sensibilità e l'intellettualità e quindi ho sempre avuto la più intensa suscettibilità per i mali e per i guai della vita, mentre in proporzione le sue gioie e i suoi piaceri mi hanno commosso meno. Perciò, fin dalla giovinezza, la componente fondamentale dei miei sogni di felicità sono sempre state scene di vita appartata, di quiete, di solitudine e di piacevole autarchia. Se la mia vita reale fosse stata la cosa più importante della mia esistenza e la fonte dei miei piaceri, avrei fatto bene a sposarmi. Ma dato che la mia è stata una vita ideale, intellettuale, non ho potuto farlo: perché si deve sacrificare una cosa all'altra.
Un uomo che per una ragione qualsiasi ha abbandonato il corso naturale della vita non può sposarsi. Chi è disoccupato non ha radici fisse a terra, una tempesta può rovesciarlo. Perciò deve stare solo. Si può affrontare il rischio di vivere senza lavoro con un piccolo patrimonio soltanto nel celibato. La perdita della libera disponibilità della mia propria persona è un male ben maggiore del vantaggio che mi può venire dall'acquisto di un'altra. Peraltro, è assolutamente impossibile che io sia felice con una donna che non è felice con me: ora, dato che io vivo soprattutto nel mondo del miei pensieri e non amo svaghi e società, e poi non sempre sono di buon umore, c'è ben poca speranza che una donna con me si senta felice.
Poiché vedo che l'autentico scopo della mia vita oltrepassa i confini della mia esistenza personale, la quale è per me soltanto il mezzo per conseguirlo, non appena la mia persona e la mia proprietà non stessero a mia completa disposizione, ma qualcun altro ne avesse parte, allora la cosa più importante e meno comune sarebbe sacrificata a quella comune. Al fine di assicurarmi questo possesso libero e illimitato di me stesso rinuncio al possesso di un'altra persona. Perché se ella deve appartenere a me, io non posso non appartenere a lei.
Considero la mia parte di eredità come un tesoro sacro che mi è affidato soltanto per assolvere il compito datomi dalla Natura, per essere - a vantaggio mio e dell'umanità - ciò a cui essa mi ha destinato. La considero come una lettera di privilegio senza la quale sarei inutile per l'umanità e avrei probabilmente la più misera esistenza che mai abbia avuto un uomo della mia specie. Per questo, se nell'attesa così spesso illusa di una vita più ricca di piaceri volessi spendere forse la metà dei miei proventi in moda, sartoria e abbigliamento, ciò sarebbe per me l'abuso più ingrato e indegno di un così raro destino.
Quanto più uno è saggio e assennato, tanto peggio sta qualora si sia legato alla metà dissennata dell'umanità. E giustamente, perché questo legame è stato da parte sua una follia ancora più grande. A maggior ragione, se uno ha raggiunto i quarant'anni senza essersi caricato sulla spalle il peso di moglie e figli, deve avere imparato davvero poco se lo vuole fare dopo. Mi sembra come chi, avendo già fatto a piedi tre quarti del percorso della corriera, voglia acquistare il biglietto per l'intero tragitto.
"Chi ha moglie e figli ha messo ostaggi in mano alla Fortuna poiché essi sono impedimenti per le grandi imprese, sia virtuose che infauste. Certamente le opere migliori e più meritevoli per il pubblico sono venute da uomini celibi o senza figli, che si sono interamente dedicati, con passione e mezzi, al pubblico (Francis Bacon)".

2. - La maggior parte degli uomini si lascia sedurre da un bel volto; infatti la natura li induce ad ammogliarsi facendo in modo che le donne mostrino, tutto in una volta, il loro pieno splendore ovvero... facciano un "colpo a effetto"; e nasconde invece i molti guai che avranno in seguito: spese a non finire, preoccupazioni per i figli, un carattere bisbetico, cocciutaggini, invecchiamento e inacidimento nel giro di pochi anni, inganni, corna, capricci, attacchi isterici, amanti, diavoli e inferno. Definisco perciò il matrimonio un debito che si contrae in gioventù e si paga nella vecchiaia, e mi rifaccio a Baltasar Gracián che chiama "cammello" un quarantenne solo perché ha moglie e figli. Infatti, la meta abituale della cosiddetta carriera dei giovani di sesso maschile è solo quella di diventare bestie da soma di una donna. Per i migliori di loro, di solito, la moglie passa soltanto per un peccato di gioventù. Il tempo libero che essi conquistano per le loro donne faticando tutto il giorno, è un bene di cui il filosofo ha bisogno per sé. L'uomo sposato porta sulle sue spalle tutto il peso della vita, quello non sposato solo la metà: chi si dedica alle muse deve far parte dell'ultima classe. Perciò si troverà che quasi tutti i veri filosofi sono rimasti scapoli, come Descartes, Leibniz, Malebranche, Spinoza e Kant. Gli antichi non rientrano nel novero, perché a quei tempi le donne avevano una posizione subordinata; del resto sono note le pene di Socrate, e Aristotele fu un precettore di corte. I grandi poeti, invece, erano tutti sposati e infelici. Shakespeare, addirittura, con un doppio paio di corna. I mariti sono il più delle volte dei Papageno a rovescio: come a Papageno accade che una vecchia gli si trasformi con miracolosa rapidità in una giovane, così agli uomini ammogliati accade, con altrettanta rapidità, che una giovane gli si trasformi in una vecchia.

Arthur Schopenhauer