Meditazioni sul Corpo Mercuriale

MEDITAZIONI  E  RIFLESSIONI  SUL  CORPO  MERCURIALE - IL  CRISTO

 

Si invita il lettore a penetrare il senso  simbolico
 di questo scritto, a non fermarsi  alla lettera delle
 parole e a cogliere le corrispondenze con la dottrina
 kremmerziana  e con la tradizione alchemica

 

LE ORIGINI
Provenienza e derivazioni

   È un’emanazione del corpo solare. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui e il mondo per mezzo di lui fu fatto, ma il mondo non lo conobbe. E si espanse nel lunare e nel saturno, incarnandosi. Il corpo solare, solo, non si manifesta, non appare. Questo concetto si esprime con la dottrina del quaternario; il corpo solare rivela la sua pienezza con il corpo mercuriale, intelligenza consolatrice e adiuvante anche quando non appare e non si ha la coscienza della sua esistenza.
   Il corpo mercuriale permea di sé tutte le cose e si identifica nel suo aspetto esterno e nella sua apparenza fisica con le cose e con gli esseri (le cose sono per la sua presenza). Il corpo è l’espressione di una storia e di una funzione; attraverso l’incarnazione si conferma la storia e si assolve la funzione (io storico e funzione dell’individuo). Ogni evento interiore è stato ordinato dal Corpo Solare che sta prima della nascita del corpo mercuriale e lo dispone in modo che tutto ciò che viene si ordina per adesione o per resistenza alla discesa nel corpo saturniano.
   Tra l’esistenza del Corpo Solare e l’espansione e l’abitazione nel Saturno sta il mistero dell’incarnazione; la tenda del Logos, la sacra tenda del Corpo Solare (Dio – Jod) in mezzo agli uomini, il suo tabernacolo fra noi è l’uomo, del cui tempio si disse ai Farisei “disfate questo tempio e in tre giorni lo rimetterò in piedi”, ossia in tre tempi (con tre corpi: mercuriale, lunare e saturniano).

LA  MADRE

Vogliamo conoscere un albero nella sua natura? Guardiamo in terra, dove giacciono le sue radici. Dalla terra sale a lui la linfa: al tronco, ai rami, ai fiori, ai frutti. Così è ben giusto spingere lo sguardo nel terreno e nel fondo da dove si eleva il corpo mercuriale: la Maria, la Myriam, il corpo lunare. Nobilissima, regale è la natura della Maria, perché è impregnata dalla prima virtù: vi è un prodigio in questo accostamento con cieco, semplice, grandioso abbandono. Il suo destino si impronta su quello del corpo mercuriale; quando è angustiata, quando nello squallore, nella miseria, nell’abbandono e nella solitudine partorisce il corpo mercuriale, quando si sente diversa da tutti e straniera  nell’ambiente eppure con tutti e in mezzo a tutti, senza soste o stasi e in mezzo a sollecitazioni e angustie e pericoli finché non si sente padrona di sé e della sua esistenza nel corpo ove dimora. Nella prima infanzia il corpo mercuriale non si mette in evidenza coscientemente e anche operando esso non appare nelle sue manifestazioni e nei suoi effetti; è un uno con il corpo solare; può cominciare a evidenziarsi e iniziare la sua attività e la sua missione verso i 18 anni. Il corpo lunare vorrebbe irretirlo e opprimerlo con le sue sensazioni e il suo predominio; egli si sottrae all’oppressione quando ha preso coscienza di se stesso per dedicarsi agli altri corpi lunari degli altri esseri disposti a accogliere l’espressione di Verità. Quando si è ottenuto il distacco, la separazione del corpo mercuriale dal lunare, questo offre tutto a lui: cuore, onore, sensazioni e potenza emotiva; ma il corpo mercuriale si è sviluppato al di sopra, ha altro stato di coscienza sempre maggiormente di sopra. Vi è una distanza tra la madre e il figlio; di questa distanza egli vive, sottratto a lei. Lei non lo può comprendere, può solo credere (Beata te che hai creduto!) e alimentare questa fede sempre più forte, più tenace; poiché colui che era nato da lei, che crescendo si allontanava da lei, saliva al di sopra di lei e, distolto da lei, viveva in una distanza infinita: averlo generato e nutrito e visto nel suo abbandono, e non lasciarsi vilmente smarrire di fronte alla sua maestà, ma anche non esitare nel suo amore quando la sua protezione materna si trovò superata, e di tutto questo credere che così era giusto e che vi si compiva il volere della Prima Virtù; non stancarsi mai, non attediarsi mai, anzi tener duro e fare insieme, passo per passo, per forza di fede, il cammino che la persona del figlio nel suo carattere arcano seguiva: ecco la sua grandezza. Il corpo lunare, la Maria, ha compiuto per fede assieme al corpo mercuriale ogni passo che questo ha percorso incontro al suo destino. Ella è colei che nella sua vitale profondità custodì il corpo glorioso, il Salvatore, l’illuminato per tutta la sua vita e sperimentò come egli, vivente nel mistero della Prima Virtù, si distanziasse, crescendo, da lei. Fin che egli da ultimo volle non essere più suo figlio, rimanendo in alto sulla vetta più scarna della creazione, al cospetto della giustizia divina. Ed ella accetta la separazione, dedicandosi agli altri esseri che a lui hanno creduto e per questo e solo per questo in questa dedizione alle altre Marie ella si ritrova accanto a lui.


INCARNAZIONE

Nel silenzio, nel buio, a metà del corso della notte, l’onnipotente Parola, il Verbo, si slancia dal cielo, dal celato, dal nascosto, dal suo trono regale per discendere a generare gli effetti. Le grandi realtà maturano nel silenzio; non nel chiasso, nel lusso degli avvenimenti esterni, ma nella chiarezza della vista interiore, nel cauto procedimento della decisione, nel sacrificio nascosto e nella abnegazione; nel tocco dell’amore lo spirito libero è chiamato all’azione e il grembo, la matrice delle forme, è fecondato per l’opera. Le forze che non fanno strepito sono quelle che realmente valgono. Così, la Prima Virtù entra e si manifesta nella storia. Così lo Spirito Santo scendendo sopra la Maria adombrerà la potenza della Prima Virtù e manifesterà il suo rapporto col mondo. E lo manifesterà non vivendo sopra di esso dopo averlo creato, pienamente beato di se stesso e in se stesso, lasciando all’universo di seguire il suo corso fissato una volta per sempre, ma come causa creatrice da cui tutto procede, come potenza formativa che tutto investe della sua operazione, come significato che in tutto si esprime. Non, quindi, appartato in trascendente impassibilità, ma ragione ultima di ogni cosa. Queste cose fa l’amore.
   Quello che l’uomo è per nascita delinea il tema della sua vita; tutto il resto sopravviene solo più tardi; ambiente e avvenimenti esterni esercitano un influsso, adducono, aggravano, esigono, plasmano, ma l’elemento fondamentale rimane pur sempre il primo passo nell’esistenza, ciò che uno è per nascita.


IL BATTISTA – PRECURSIONE (segni precursori dell’avvento)

Lo sviluppo e la manifestazione cosciente del corpo mercuriale in sé, il risveglio, il Cristo loquente, avviene quando si siano succedute già numerose incarnazioni, con un corpo lunare vecchio (il Battista nasce da genitori già avanzati in età) e vi sono segni precursori di questo avvenimento.
   Periodi di astinenza, facoltà di conversione e di attrazione delle altre creature verso la Verità e la Saggezza; bisogno di solitudine e di meditazione, esule nella rinunzia, fortificandosi in spirito, proteso con tutto l’Essere verso la sacra volontà che si rivolge a lui. Elevati e richiamati verso un fastigio sovrano, introdotti a un sapere inconcepibile, temprati per un’azione prodigiosa e pur tenuta nell’oscurità e nell’impotenza, umili ma dignitosi, schivi di onore, al di fuori della corrente comune, dell’opinione comune, della vanità dei fastigi. Colmati di una potenza superiore a ogni misura umana questi esseri in questa fase sono poi umiliati da capo al di sotto di ogni considerazione umana. Nulla per sé, tutto a disposizione della forza che li guida orientandoli verso la misteriosa direzione divina operante nel popolo. Questo è il significato della figura di Giovanni Battista, precursore del Cristo (corpo mercuriale glorioso, simbolo del risveglio cosciente e intelligente). Egli è il fremito di presenza pulsante per l’avvenimento imminente. Giovanni Battista arriva quando l’ora è matura per annunziare che sta per arrivare il Messia e per dire: “Eccolo colui che verrà a battezzare in spirito e fuoco e non come me con acqua”.


IL BATTESIMO

Che significa il battesimo? Che vuol dire essere battezzato? Significa penitenza, disposizione umile a tutto ciò che proviene dal Padre (Corpo Solare), piegarsi alla giustizia che vale per tutti. Quando, dopo tutti i segni di precursione che l’ora è matura e che il corpo mercuriale è pronto per il risveglio, quando l’avvenimento si schiude e si appalesa, non vi è presunzione, superbia, sopraffazione, prepotere ma tutto continua ad adattarsi alle condizioni esterne e a ciò che era prima. Solo dall’alto risponde un’esultanza; i cieli si aprono; cade la barriera che separa noi dalla Prima Virtù onnipresente nel suo nascondimento, nel suo beato essere presso di sé, la barriera fra Dio e l’uomo, decaduto, coinvolto nel mondo sottomesso alla caducità. E succede un ineffabile incontro. Si riversa nel corpo mercuriale glorioso la pienezza della Prima Virtù e ciò mentre egli prega, cioè mentre è raccolto intimamente in se stesso; tutto questo è reale, più reale di tutte le cose tangibili che stanno intorno, ma interiore, in ispirito. L’uomo, il saturno, è elevato al di sopra di sé così da sentire, attraverso il corpo mercuriale, la Santità e da sperimentare il suo amore. Pur rimanendo identico, nella sua sostanza fisica (vero Dio e vero Uomo) in tutto uguale agli altri uomini, pur essendo guidato e illuminato, pur avanzando e crescendo in sapienza, in età e in grazia non solo dinanzi agli uomini, ma dinanzi alla Verità. E nel momento del battesimo scende la colomba, lo Spirito Santo che è l’amore per il quale il corpo mercuriale e la Prima Virtù, il corpo solare, l’essenza, sono intimamente uniti ed è la stessa virtù, forza, amore con cui il corpo mercuriale e il corpo lunare sono uniti. E dopo il battesimo, che vuol dire congiungersi alle leggi e piegarsi alla giustizia e all’alta gerarchia, viene il ritiro, la solitudine lontano dai suoi, dal popolo, per 40 giorni e 40 notti. 40 è un numero convenzionale che è fondato sul ritmo della vita. Digiuno, nella propria intimità, in casta oblazione della propria volontà alla volontà del Padre.


LA  TENTAZIONE

E dopo il digiuno di 40 giorni e 40 notti la fame e la tentazione: “Fai diventare pane le pietre”. E la risposta: “Non si vive di solo pane”. E poi, dall’alto del pinnacolo del tempio: “Gettati giù, perché tanto gli angeli ti porteranno su le mani”, e la risposta: “Non tentare il Signore”. E poi: “Tutte le magnificenze e i regni del mondo se mi adorerai prostrandoti” e la risposta: “Va via, Satana, perché è prescritto di adorare solo il Signore, Dio proprio, e servire solo lui”. E quando la tentazione, il diavolo se ne va, ecco che si accostano gli angeli e lo servono. Osserviamo il significato di queste frasi. Con la coscienza in sé della Prima Virtù si entra nella solitudine sorretti solo da una prodigiosa forza e dalla consapevolezza della missione; nella solitudine e nel digiuno. I maestri di vita spirituale ci diranno che cosa significa non la privazione imposta, ma il digiuno intrapreso con prontezza interiore. Oggi, anche medici ed educatori sono meglio informati al riguardo. Dapprima non è sentita che la mancanza; poi il desiderio del cibo scompare e per una serie di giorni, a seconda della forza e della purezza di ciascuno, non torna. Intanto, non ricevendo più alcun nutrimento, il corpo va consumando le sue riserve, ma non appena questa autocombustione accenna a intaccare gli organi più importanti, si risveglia una fame selvaggia, elementare e poi ne va della vita. Parallelamente, un che di interiore si opera nel digiuno; il corpo si fa, per così dire, più sciolto; più libero lo spirito; tutto guadagna agilità e snellezza. Gravami e molestie della materia si sentono di meno. I confini della realtà sono sì e no confini; l’orizzonte delle possibilità si allarga. Lo spirito diviene più suscettibile; più chiaroveggente, più fine e più gagliarda la coscienza. La sensibilità per le decisioni spirituali aumenta. Si scuote il sistema difensivo della vitalità naturale, inteso a proteggere l’individuo contro ciò che di occulto e nocivo accompagna l’esistenza umana e contro la minacciosa vicinanza di ciò che da ogni parte assedia la stessa esistenza. L’interno è esposto, per così dire senza velo, alle altre potenze. La consapevolezza della potenza spirituale si approfondisce e si accentua il pericolo di perdere di vista la misura di quanto è assegnato a ciascuno, i limiti del proprio essere finito, della sua dignità e delle sue possibilità: il pericolo dell’orgoglio, della magia, delle vertigini spirituali con possibilità di crisi nelle quali lo spirito è posto al cimento di decisioni estreme (la paura, la pazzia, il suicidio). In questo momento interviene la tentazione del mondo degli effetti. Ecco l’origine dell’ambiguità infernale che avvelena la semplice linea della fiducia e dell’obbedienza, la mezza luce che tutto falsa, peggiore ancora dell’aperta menzogna. Si stuzzica la fame; il sentimento della potenza taumaturgica e la consapevolezza della derivazione dalla Prima Virtù sono messe in dubbio e perciò stesso sono stimolate. È necessario che si scateni la cupidigia e, scatenata, volga ai suoi fini la forza del miracolo consacrata esclusivamente alla missione divina. Tutto deve essere rivolto, invece, al puro servizio della volontà divina e la risposta dovrà essere “non di solo pane vive l’uomo” ancora più importante è “il pane del Verbo”. Di fronte a questa perfetta libertà interiore la tentazione disarma. E dal pinnacolo del tempio si vede in basso l’abisso e il brulichio della gente e anche qui la lusinga tentatrice usando di quell’intima instabilità dell’animo che attraverso il lungo digiuno si sente svincolato dalla gravità; quell’oscillare del possibile e dell’impossibile; quella brama fantastica dello straordinario, dello sbalorditivo che faccia colpo. Qui occorre un’intera, suprema e luminosa vigilanza. Non si deve permettere che venga tentato il Corpo Glorioso, emanazione dell’Essenza Suprema, della Prima Virtù. E ancora un’altra tentazione sulla cima del monte dalla quale appare la visione della magnificenza del mondo che si offre a colui che veramente e realmente sarebbe capace di dominare. Come deve tendersi a questo punto il sentimento del vigore spirituale; come devono esaltarsi la dignità della personalità affermata e la sete del potere; come si deve sentire presente, immanente e attuale la preziosità del mondo; come deve essere messo in risalto il contrasto fra l’applicare la propria grandezza esplosa e reale all’indigenza di uomini di poco o nessun conto, all’ottusità dei pavidi creduloni, alla missione di predicatore ambulante e non alla magnificenza e al trono del mondo. Per un dominatore, insinua la tentazione, ci vuole la fama e il compito di dominatore, il dominio sui re, la corona reale suprema. Sottinteso: a prezzo dell’allontanamento dalla Verità e dalla Saggezza conseguita prostrandosi all’adorazione del mondo degli effetti, del comando, della vanità, della supremazia terrestre. Ma la risposta deve essere pronta e risoluta: rinuncia e abbandono di queste tentazioni. “Va via, Satana; sta scritto: adora il Signore Dio tuo e servi lui solo”. Occorre ritornare tra gli uomini, in oscurità, in umiltà e silenzio con una sublimità satura di indicibile aspettazione. E alla spicciolata gli uomini vengono a lui e lui verso di loro.
   Così vediamo man mano crescere e camminare il bambino venuto dalla Maria, ripieno di grazia, proveniente dallo Jod (Dio padre), ripieno della sua saggezza, colmo di verità e di amore. Così dalla grandezza e dalla pienezza saliente a grado a grado in tanti anni di silenzio, viene avanti l’umiltà e si mette nella fila. A esso risponde il Cielo (il celato, l’occulto). Esso si apre. Scende e splende il contatto con la Prima Virtù che si manifesta e narra le sue compiacenze eterne. E ancora la solitudine nel deserto. È a questo punto che vengono le tentazioni di cui sopra. Nella divina libertà di questa fase quando le tentazioni sono superate, dal massimo al minimo del loro apparire, si ritorna nella cerchia circoscritta della propria missione in silenziosa attesa fin che giunga il momento di incominciare l’opera dell’insegnamento, del Maestrato.


INTERMEZZO

Dopo i digiuni e la solitudine per 40 giorni nel deserto prima di fare l’ingresso tra gli uomini del mondo perché il Cristo loquente possa predicare, insegnare, fare da maestro, vi è un periodo di puro presente, come un attimo, di breve tregua, di piena libertà; poi si inizierà l’azione e la lotta sul terreno della realtà storica e la predicazione in cui ogni parola susciterà la risposta, ogni opera l’opera opposta in modo che azione e controazione si intrecceranno come causa ed effetto e questo altra causa per altro effetto. In questo intermezzo vi è la pienezza della Verità e della Legge discesa con il battesimo che fluisce sopra di lui, intorno a lui; lo spirito vuole agire e operare, erompere in parole e azioni, cerca orientamento e lotta ma non è ancora orientato, non è ancora impegnato. Irrompe, fiorisce, è presente, semplicemente, esuberante di sé e di risorse infinite. Poi il mondo muove i primi passi verso di lui; si accostano i simpatizzanti, i futuri discepoli, si accrescono. Ed egli accetta l’accostamento e così l’intermezza sta per finire. Coloro che vengono a lui prendono i primi contatti, e in realtà, senza che essi lo sappiano, ne sono già avvinti; questi uomini che, ammessi presso di sé il futuro e prossimo Maestro scruta, sono ormai segnati per sempre. Lo sguardo che ne ha pervaso l’anima, assegnando a ciascuno vocazione e destino, non sarà più estinto. In un primo tempo essi continueranno a occuparsi del lavoro di ogni giorno, delle occupazioni abituali; solo più tardi si staccheranno da tutto e lo seguiranno nel vero e proprio senso della parola. Ma l’ora dell’azione del prossimo Maestro è quella che verrà indicata dal Padre, dalla Prima Virtù, dalla sorgente della Verità che risiede nel mondo delle cause; la volontà del Padre, il volere dello Jod. Questa volontà non va intesa come un’indicazione inizialmente fissa, la quale tutto comprende ciò che nel corso del tempo sarà da compiersi; la volontà del Padre è qualcosa che vive e si riflette nel Corpo Glorioso e si sviluppa e incide nel processo degli avvenimenti. È lo stesso Padre, in atto di volere, che “è sempre presso il Figlio”. La sua volontà lo porta, ricolma, circonda e sprona sempre avanti; tanto che egli, così solo nel mondo, ha in lui la sua dimora. Di volta in volta essa si traduce in concretezza di volere e di incitamento. Nella situazione del momento, in ciò che avviene intorno a lui, questa volontà detta l’istruzione del caso: questa è la sua ora. Un rapporto mirabile con il Padre, pieno di immediatezza e di intimità, però anche difficile e fonte di gran patimento. Soccorre alla mente l’esistenza del profeta: egli sta nella vita quotidiana guidata dagli impulsi consueti del guadagno, del godimento e dei valori terreni… Gli uomini vogliono mangiare e bere, possedere e occupare, godere e mendicare onori, lavorare, dominare, trafficare. In questa razionalità intelligibile da tutti il profeta se ne sta come uno straniero… Egli obbedisce a un’altra logica: il pensiero di Dio “di tanto distanziato dai pensieri umani di quanto il cielo sovrasta la terra”, cosicché il suo agire deve apparire loro come stoltezza e più come controsenso funesto. Il profeta asseconda un altro impulso: l’impulso dello Spirito che spira dove vuole, improvviso, impetuoso, impenetrabile, tanto che parole e azioni suggerite da lui devono sembrare arbitrio e non senso. E poi viene finalmente l’ora dell’azione, l’ora dell’inizio.


L’INIZIO

Con la manifestazione effettiva del Cristo loquente, questi entra nella storia dell’umanità; vi vive nel lavoro e nel dolore e il suo destino sulla terra si conclude con la morte fisica per ricominciare e continuare altrove. Quello che egli fa viene dall’eterno, quel che gli accade e che sperimenta è assunto con ciò nell’eterno. Egli è sì nel tempo e sta così sotto la legge; pure, proprio in virtù della sua obbedienza e soggezione, egli è Signore del tempo e inaugura una storia nuova propria del Figlio di Dio e della Nuova Creazione. Si hanno i primi impulsi dell’esuberanza dello spirito con la presa di posizione contro i profanatori del Tempio, i primi contatti con il mondo ufficiale mentre egli è pervaso dal fervore celeste; e pur rimane impotente la forza dello Spirito di fronte al sorriso scettico dei “potenti e dei savi”. Si ha la prima rivelazione dell’arcano “dispogliamento” di sé. E incomincia anche l’azione pubblica. Il regno di Dio, il mondo delle cause è il contenuto dell’attività del Cristo loquente che non si può manifestare a parole, ma deve essere presente allo sguardo e al cuore. Il Cristo loquente dice: “È giunta l’ora e si avvicina il regno di Dio”. Questo non è un ordinamento rigido, immutabile, ma qualche cosa di vivo che ci si avvicina. E deve essere accolto. Regno di Dio significa che Dio regna, che la legge regna. Ma come è che regna la Legge? Per avere la risposta occorre farci un’altra domanda: che cosa è che ha realmente potere in noi? Che cosa domina in me? In primo luogo uomini; quelli che mi parlano, quelli che io leggo, quelli che frequento o che se ne vanno da me; quelli che mi danno o che mi rifiutano, che tramano contro di me o mi vengono in soccorso; quelli che io amo, ai quali sono obbligato, dei quali mi prendo cura, sui quali esercito un ascendente. Questi dominano in me. Al contrario, Dio non viene in me se non in mancanza di uomini; in quanto il tempo che essi mi rubano concede ancora un margine, in quanto le loro pretese non esauriscono la mia attenzione, in quanto sotto il loro influsso non mi viene il pensiero che Dio realmente non c’entri. Dio domina soltanto per quel tanto di varco che la coscienza di lui riesce ad aprirsi, a dispetto di tutti gli uomini, attraverso essi, accanto ad essi… In secondo luogo signoreggiano in me, dominano in me LE COSE. Quelle che io ambisco, per la violenza di questa ambizione; le cose che mi sono di ostacolo, in quanto mi sono di ostacolo; le cose poste sul mio cammino, nella misura in cui mi stuzzicano, turbano, preoccupano lo spirito, tutte, insomma, le cose, per ciò stesso che sono ed esauriscono, dentro e fuori, lo spazio. Esse comandano in me, non Dio. Dio si manifesta solo per quel poco che la molteplicità delle cose, che tutto riempie, gli concede di posto, in qualche modo, attraverso di esse o attorno ai loro confini. E così Dio non domina in me. Un albero qualunque che mi si opponga per via sembra avere maggior forza di lui, non fosse altro che per il fatto che mi costringe a girargli intorno.
   E come sarebbe, allora, se DIO REGNASSE in me, se ci fosse in me realizzato il REGNO DI DIO? Saprei, non per una faticosa rievocazione, ma da me per immediatezza sicura e verace: realmente egli è. Egli è LUI, al di fuori e al di sopra di tutti i nomi e i concetti umani. Così come vedo l’esuberanza di un prato in fiore, come sento la sua freschezza e, se ne parlo, so cosa intendo. Così come di un uomo intuisco e mi accorgo qual è, nel bene o nel male, con quei lineamenti, con quell’andatura, con quel modo così e così di accostarmi, con quella forza del suo spirito… Dio sarebbe nel mio spirito con la virtù della sua adesione, come principio, ragione e fine di tutto… Il mio cuore, la mia volontà lo sperimenterebbero come il principio che regge ogni valore e anima ogni nozione, come colui che solo premia in modo definitivo e tuttavia dona a ogni umano evento di essere, nella sua finitezza, pieno di significato… Il suo appello mi giungerebbe e io proverei con sacro timore che la mia persona umana non è nulla al di fuori del modo nel quale Dio mi chiamò e nel quale io debbo rispondere al suo appello… La mia coscienza sarebbe pertanto ridesta e consapevole del suo dovere. E di lì mi verrebbe, trascendendo la pura coscienza, il dono supremo: il santo destino d’amore nel suo effettuarsi tra Dio e me solo. Se tutto questo fosse e si sviluppasse, sarebbe Regno di Dio. Ma il nostro è regno dell’uomo, regno delle cose, regno delle potenze, degli avvenimenti, degli orientamenti e degli interessi terreni. Essi velano e ostracizzano Dio. Unicamente nelle pause dell’esistenza, in margine, fanno posto a Dio. Chi è in grado di comprendere che Dio è colui che è (Ente, l’Essere per antonomasia), che tutto persevera nell’essere unicamente per lui e che se egli ritraesse la mano si disperderebbe come un’ombra; che io sono esclusivamente opera, immagine e somiglianza sua e tuttavia non ho conoscenza di lui? Come è possibile? Com’è possibile che l’albero cui vado incontro mi sia più reale di lui? Com’è possibile che Dio rimanga per me nulla più di una semplice parola? E non mi irrompa ovunque, onnipotente, nel cuore e nella coscienza? Così, press’a poco si può dare un’idea di quello che dovrebbe essere REGNO DI DIO. Ora il Cristo loquente, quando si sviluppa e si manifesta, proclama che il tempo per tali cose è venuto. Dopo il regno degli uomini e delle cose – regno degli effetti, regno di Satana – ha da venire il Regno di Dio: perdonare, illuminare, dirigere, trasmutare tutto in una nuova esistenza derivante dalla integrazione dei poteri dell’essere. Non però con violenza fisica, ma per un processo di trasmutazione dell’uomo. Gli uomini devono capovolgere le loro mentalità dalle cose a Dio e affidarsi all’intelligenza che proviene dalla coscienza del Cristo loquente; allora viene il Regno di Dio. Che cosa avverrebbe se gli uomini si aprissero a questo messaggio? Si compirebbe qualcosa di nuovo che noi oggi non possiamo comprendere. “Il lupo abiterebbe con l’agnello, il leopardo si coricherebbe col capretto; il vitello, il leone e la pecora starebbero insieme e un piccolo fanciullo li custodirebbe. Il vitello e l’orso pascolerebbero insieme; i loro nati riposerebbero pure insieme e il leone dividerebbe il fieno con il bue… Non nuocerebbero e non ucciderebbero nel santo nome della Luce, poiché la terra sarebbe ripiena della scienza della Verità, come le acque irrompenti dal mare. Che significa tutto ciò? Non è un racconto di favole, né sono utopie, ma esprime la visione profetica di qualche cosa che ha da venire. Di una pace, di una abbondanza, di una verità e purità destinate a invertire l’universo; di uno stato di cose santo per il quale viene meno ogni rappresentazione immediata, cosicché ha bisogno di essere espresso per assurdo. Questa sarebbe una nuova vita, una nuova creazione, una nuova storia. Ciò che si dice “le vecchie cose passarono, ecco son fatte delle nuove”; il tempo di letizia per eccellenza. Trapasso senza fine nel vortice di amore proveniente dalla Prima Virtù. Tutto ciò è sospeso ed è sempre da venire. Si avvicina; si avvera in un individuo o in una piccola comunità o più oltre, ma solo per breve tempo e si allontana di nuovo. Ma ritorniamo all’inizio della manifestazione del Cristo loquente. È tutta una fase di esaltazione iniziale; un apporto infinito agli uomini, un invito alle loro anime, un accostarsi a esse, con tutto un seguito e una conquista di altre anime. E tutto questo per la virtù dell’amore che fa fiorire e accogliere l’affetto del Dominatore che domanda di entrare, che fa percepire la forza che esige obbedienza, l’Amore che è l’espressione della potenza dello Spirito. E così viene l’insegnamento per il quale vi è da stupire della dottrina che proviene da uno che ha autorità e che produce negli ascoltatori un mirabile impulso divino che “li spinge fuori di sé”. Questo impulso fluisce dalla parola; non è studiato e sagace come nei comuni docenti, ma come in uno che ha potere. La parola scuote, strappa lo spirito dalla sua sicurezza, il cuore dalla sua indolenza, comanda e crea. Non è possibile udire e poi starsene indifferenti. Così nella parola e così pure nell’azione che nella potenza amorosa e salutare entra in gara con il mare delle miserie umane, sovviene e risana.


 

Accademia Kremmerziana Patavina