Sull'insegnamento esoterico

Molte volte ci si chiede perché negli scritti della Tradizione si sottolinei come l’insegnamento dell’ermetismo non possa svolgersi con le stesse modalità di ogni altro insegnamento ‘profano’. Si sostiene sempre che, sulla nostra strada, non vi è qualcuno che insegna e discute di nozioni filosofiche o culturali, ma che invece deve essere messo in atto ogni sforzo e lavoro su di sé per risvegliare nel proprio interiore  un particolare stato del pensiero e dell’intelligenza ( Ermes), che solo ci consente di penetrare le analogie ed i simboli , che ci vengono posti dinnanzi.
Questo è necessario perché ciò che l’ermetista vero vuole non è tanto il comprendere un cumulo di nozioni storico-filosofiche, quanto piuttosto giungere alla possibilità di percepire il ‘mondo delle cause’, o meglio cogliere il ‘fenomeno Moto - Vita’, che si colloca nel concreto Spazio-Tempo solo nelle sue manifestazioni, ma non nella sua ‘Essenza Reale’ , che invece si trova ad un diverso livello di comprensione, il vero ‘esoterismo’.
Al fine di comprendere meglio questa caratteristica fondamentale dell’insegnamento ermetico, si riporta il seguente brano di R. A. Schwaller De Lubicz, tratto da “Il Tempio nell’Uomo” – Ed. Mediterranee – p. 15 e segg.:

“È un errore il pregiudizio che non esista esoterismo, o che ci sia volontà di nascondere certe conoscenze. [Lo scopo dei simboli e delle parabole] e di frasi enigmatiche non è quello di nascondere a ‘colui che ha occhi per vedere e orecchie per intendere’, secondo la formula evangelica. Lo scopo è quello di selezionare coloro che hanno sviluppato l’intelligenza necessaria e perciò sono degni di questi ‘segreti’ […]. Non c’è mai stata volontà di nascondere agli uomini così preparati qualcosa della saggezza trasmessa dai testi, dalle tradizioni o dai monumenti. L’enigma non è nella cosa, ma risulta dalla nostra comprensione, dalle nostre facoltà, dalla  nostra intelligenza, che non sono in accordo con la mentalità con cui è espressa l’idea, ed è questo che la nostra attuale educazione ci impedisce di ammettere.
Esiste un’educazione che, servendosi degli organi vitali dove si elabora il flusso nervoso […], può risvegliare un’ “intelligenza” di stati che precedono e superano le forme corporee. […] Le parole da sole non servono senza i concetti.
[…] Il razionalismo poggia sui dati dei sensi, e questi non percepiscono che una piccola parte di ciò che è. Con il solo razionalismo potremo conoscere solo ciò che cade sotto i sensi, che è ponderabile, quantitativo. Tuttavia, la matematica ha dimostrato l’esistenza di elementi da classificare al di là del fisico; se ne deve tener conto e se il razionalismo ci conduce a un muro impenetrabile, insegna perciò che ha dei limiti e che dobbiamo cercare un altro tipo di comprensione.
Ci esprimiamo in una lingua convenzionale e il dizionario precisa e limita il senso di ogni parola.  Quindi non possiamo comprendere nulla di più di quello che sa il dizionario. Scriviamo con segni alfabetici convenzionali che di per sé non esprimono che suoni; perciò il nostro alfabeto non è che un mezzo meccanico per combinare le parole del dizionario e trasmettere il pensiero che delimitano. Si dirà che le combinazioni di queste lettere sono quasi infinite: è vero, ma il numero di parole è limitato alle nozioni già acquisite. Il pensiero può anche approfondire i fenomeni constatati e cercarne le cause … Certamente può farlo, ma come si avvicina alla metafisica non trova più nelle nostre lingue  e nelle nostre scritture mezzi per esprimersi. Le nozioni astratte, formulate in parole per cui ci mancano i concetti, sono oggettivate e perdono il loro significato.
Da queste constatazioni risulta che non esiste che un mondo concreto sensorialmente sensibile e che ci manca una facoltà per cogliere l’astratto senza doverlo concretizzare con l’immaginazione. Il processo avviene in noi in un modo che conduce sempre verso la definizione quantitativa. Ne risulta l’inverso della visione egizia.
Se appare un fenomeno sconosciuto, questo è già una concretizzazione di una causa che per noi era astratta. Invece di cercare la natura di questa causa, obbediamo alla nostra tendenza riduttrice e riconduciamo causa e fenomeno al mondo della mentalità meccanica. Non approfondiamo nulla, abbassiamo tutto al nostro limite. La semplice immagine ci prova che esiste un mezzo per esprimerci senza limitare la nozione a una forma definita e per trascrivere il nostro pensiero senza imporre la nostra mentalità personale a chi leggerà questa immagine.
Abbiamo preso l’abitudine di ridurre tutto in Tempo e Spazio, è l’abitudine razionale. L’immagine invece lascia la porta aperta su un mondo qualitativo e funzionale. Per esempio, dicendo ‘un uomo cammina’, noi vediamo un uomo mentre cammina, ma in modo limitato: immaginiamo solo il fatto di muoversi, di camminare. Possiamo poi situarlo nel passato, nel presente, nel futuro e in tutte le sfumature di questi tempi; collochiamo questo movimento in Tempo e Spazio. Invece se vediamo un’immagine che rappresenta un uomo che cammina – o semplicemente delle linee che raffigurano un uomo – non l’immaginiamo più, non lo collochiamo più. È la funzione che ci interessa, e la qualità di questa funzione. Possiamo poi dipingere quest’uomo di verde: non sarà più soltanto la funzione di camminare con le gambe ad essere evocata: questo movimento potrà significare vegetazione o crescita. Camminare e crescere sono due funzioni diverse per il nostro ragionamento, ma in realtà esiste un legame astratto tra camminare e crescere. È il movimento senza considerazione di Tempo e di Cammino.
Se vogliamo definire questo movimento, lo ridurremo immediatamente in Tempo e Spazio, mentre il sentimento del movimento – che sia cammino o crescita – non ha più bisogno di essere definito: l’immagine – il simbolo – diventa definizione e possiamo effettivamente provare questo stato (in qualche modo confonderci con lui senza ragionarlo), come farebbe qualsiasi bambino guardando delle immagini.
Quindi la raffigurazione – il simbolo – è il nostro unico vero mezzo per trasmettere un senso esoterico che, in una scrittura alfabetica, dobbiamo cercare nella parabola o eventualmente nella metafora o nell’allegoria.”

Ecco allora perché i simboli non vanno spiegati a parole e negli scritti ermetici bisogna andare al di là delle parole che dicono, e coglierne il ‘senso della funzione’, che l’autore voleva esprimere.
Tutto questo avviene molto meglio nel Silenzio, evitando il più possibile domande a ‘maestri esteriori’, ma cercando di far nascere in se stessi quello stato di confondimento con il simbolo, la parabola o lo scritto ‘esoterico’.
Altrimenti tutto è ridotto a razionalità spazio-temporale, che non consente l’accesso a quel ‘mondo delle cause’, dove può essere percepita l’ Essenza del Moto – Vita”.

Ma allora, viene da domandarsi, che cosa si va a fare in Accademia, dove nelle riunioni si fa uso della parola.
Si tenga sempre presente che le parole, i riti, le analogie indicate, le parabole, i racconti mitologici, tutto ciò che si legge e si pratica ha il solo scopo di attivare uno stato dell’intelligenza (intelligenza ermetica), che consenta di percepire qualcosa che “sta dietro” e di cui essi sono solo delle indicazioni e manifestazioni esteriori.
Quindi nelle riunioni di Accademia bisogna essere estremamente attenti affinché non si cada in discussioni teoriche, culturali, speculative. Nelle riunioni vanno solo portate esperienze vissute, anche se apparentemente banali. In tal modo imparando ad ascoltare gli altri, si impara ad ascoltare se stessi. Tutto ciò serve da stimolo, gli uni nei confronti degli altri. L’osservazione degli altri e delle loro esperienze deve servire come specchio per noi stessi. Gli incontri periodici in Accademia sono solo una piccola parte del lavoro, che deve essere condotto costantemente, nella vita di tutti i giorni, nel silenzio interiore e nella costante osservazione di sé. Solo così si risveglia l’intelligenza ermetica e con essa il vero Maestro.

FDA

Accademia Kremmerziana Patavina