Pitagora e la Scuola Pitagorica

Qui quasi cursores vitae lampada tradunt.

 

Scrive il Kremmerz – Ai Discepoli della Grande Arte – “La Scienza dei Magi” – Ed. Mediterranee – I Vol. – p. 8–9:
“ Volevo … andare più in là, che Dio me lo perdoni, innalzare un monumento al pitagorismo italico, seme del templarismo posteriore, e iniziare la piccola riforma mentale e morale della virtù nella sua essenza pratica della vita sociale.”
Il Kremmerz tentò di realizzare una Scuola Ermetica che, approvata dal Grande Ordine Egizio, riportasse nei tempi attuali gli insegnamenti e le pratiche della Scuola Pitagorica, che traeva le sue origini dalla Scuole Sacerdotali Egizie. Il suo tentativo, come quello dei Rosacroce, anche se non perfettamente realizzato, ha consentito di mantenere accesa una fiaccola di Luce per tutti gli uomini di volontà buona.

Ripercorriamo la storia di Pitagora e della Scuola Pitagorica, rifacendoci al testo: “La Sapienza di Pitagora” - Vincenzo Capparelli – Ed. Mediterranee.

Dove e quando nacque Pitagora la tradizione non lo definisce in modo certo. Chi lo vuole nato a Samo, chi a Lemno, chi a Filunte, chi a Metaponto, chi in Etruria, chi a Tiro. Anche la data della sua nascita è molto incerta: gli storici la situano verso il 570 a.C.
I suoi genitori furono Mnesarco e Partenide.
Eudosso e Senocrate, per indicare la natura Solare ed Apollinea di Pitagora, lo vollero nato da un accoppiamento tra Apollo stesso e Partenide.
La leggenda ci dice che egli fu un fanciullo prodigio, che apprese con estrema rapidità quanto gli veniva insegnato dai suoi educatori. Il vecchio Talete gli consigliò allora di andare ad istruirsi presso i popoli di più antica civiltà.
Fu così che Pitagora iniziò i suoi “viaggi di istruzione”. Tutto ciò ricorda i viaggi che la leggenda vuole che Christian Rosenkreutz compisse alle quattro parti del mondo, per raccogliere e racchiudere in sé le diverse espressioni della Tradizione Unica.
Ione da Chio dice che Pitagora conobbe ed apprese il pensiero di tutti gli uomini.
Ma dove si formò principalmente fu l’Egitto.
In Egitto giunse raccomandato al re egiziano Amasi dal tiranno di Samo, Policrate, e dopo molte prove fu introdotto agli insegnamenti egizi sotto la guida del Gran Sacerdote Eonouphis.
In Egitto rimase per ventidue anni e qui apprese le basi fondamentali della scienza egizia.
Si recò poi per dodici anni a Babilonia, dove apprese la scienza dei Sacerdoti Caldei.
Successivamente incontrò i magi persiani, i gimnosofisti indiani, i bramani indiani, i traci, i celti, i druidi.

Pitagora si presenta allora non tanto come un filosofo greco, quanto come una personalità che raccoglie in sé il sapere dell’intero genere umano della sua epoca e lo fa proprio. Quello che importa non è se Pitagora abbia veramente compiuto tutti i viaggi attribuitigli, bensì il concetto che lo presenta come punto d’incontro della sapienza Tradizionale unica.

Si dice che, attraverso il suo percorso di conoscenza, Pitagora sia venuto a ricordare le proprie incarnazioni precedenti.

Scrive Capparelli – p. 4: “Così dunque Pitagora esperto, attraverso le sue varie incarnazioni, delle più varie condizioni umane, ricco di tutto il sapere barbarico e greco, iniziato a tutte le forme dei misteri, conoscitore profondo di uomini, di istituzioni, dei più vari usi e costumi umani, era ben preparato alla sua missione; aveva in mano tutti gli elementi per farne la base di un nuovo e miglior ordine di cose presenti e future.”
Molto tempo più tardi, con i Rosacroce, venne identificato in tal modo il mitico Christian Rosenkreutz, che dopo lunghi viaggi, riuniva in sé la sapienza dell’epoca.

Pitagora rientrò in Samo, ove i suoi concittadini, pur ammirati della sua sapienza, non seguirono l’insegnamento che impartiva nell’Emiciclo ed egli si ritirò ad insegnare, secondo la tradizione, in un antro sotterraneo, l’antro della filosofia. A Samo comunque sembra avesse un unico discepolo: come al solito, nemo propheta in patria sua.
Pitagora, forse per la poca considerazione che aveva presso i suoi concittadini o forse perché insofferente della tirannia presente a Samo, decise di trasferirsi a Crotone.
Crotone esisteva da tempi antichi come fondazione pelasgica, prima che fosse colonizzata dai greci.
In essa vi era però una popolazione giovane, ancora sufficientemente libera da vecchie tradizioni.
Pitagora giunse a Crotone nel 536 o nel 532 o nel 529 a.C., secondo alcuni storici.
Sembra che egli vi giungesse preceduto dalla sua fama, acquisita per i suoi viaggi e per la sua sapienza. Secondo gli storici egli era di portamento dignitoso e di eloquenza irresistibile.
Egli iniziò subito a tenere discorsi ai vecchi, ai giovani, alle donne. Essi lo cominciarono a considerare una natura divina, un vero “Cristo loquente” o “Mercurio” in esplicazione della propria potestà.
Iniziò così un generale rivolgimento nella società.
Cercò di riformare le costituzioni politiche e soprattutto riorganizzò il culto pubblico, cercando non di distruggere credenze religiose, ma integrandole con le dottrine iniziatiche.
L’influenza di Pitagora si diffuse in tutta l’Italia meridionale ed in Sicilia.
I governi da lui ispirati cercavano di fondere il principio aristocratico (la guida affidata ai migliori) con il principio democratico.
Egli appariva come un essere “olimpico” venuto dal cielo (un Ermes vivente – un Cristo loquente) e sceso sulla terra per incarnare in essa la Luce divina.
Pitagora veniva considerato anche come un essere “taumaturgico”, che guariva le malattie, prediceva ciò che sarebbe avvenuto, calmava gli animali e le forze della natura: presentava cioè i poteri che si attribuirono successivamente i Rosacroce e che Kremmerz tentò di realizzare con la sua Fratellanza Terapeutico Magica di Myriam.
Al di là delle leggende, più o meno attendibili, una cosa fu certa: Pitagora riuscì a portare armonia in tutte le città in cui penetrò, sopprimendo lo spirito di discordia e di fazione.
Egli vedeva nell’ordine sociale il riflesso dell’ordine del cosmos, rappresentante l’unità armonica delle parti riunite in un tutto. Così l’idea scientifica si armonizzava e si esprimeva pienamente nell’idea politica.
Ma il merito più rilevante di Pitagora fu la fondazione della sua Scuola: la Scuola Pitagorica.
Egli voleva creare un gruppo di individui, che potessero diventare come un vaso di elezione dei suoi insegnamenti e che potessero essere poi portatori di tali valori nella società: un Atanor dove potessero essere distillati i suoi insegnamenti.
Egli si proponeva di formare individui saggi che potessero reggere le sorti delle città e che potessero promuovere lo studio della scienza e della filosofia, facendo così evolvere la società. Lavoro individuale e lavoro nel sociale, come poi proposero i Rosacroce.
La Scuola si presentava di difficile classificazione, tanto che ad essa furono posti diversi nomi da parte degli storici: sodalizio, collegio, cenobio, sinedrio, confraternita, comunità.
Tali nomi dimostrano la difficoltà di classificare la complessità e la molteplicità dell’insegnamento pitagorico.
Pitagora si proponeva un ideale di perfezione, da raggiungere attraverso la scienza, che considerasse unitariamente uomini, cose ed universo.
Tutto nella Scuola Pitagorica era volto al perfezionamento umano.
Platone considera Pitagora notevole per aver definito il tenore di vita pitagorico. Aristotele dice che per Pitagora esistevano tre specie di esseri ragionevoli: Dio, l’uomo ed una terza specie rappresentata dall’uomo pitagorico, l’uomo intermediario tra la divinità e l’uomo, quindi il messaggero degli dei, l’Ermes realizzato, l’Ibi, il Cristo loquente.
Pitagora voleva con la sua Scuola giungere al superamento dell’uomo; giungere al sovrumano.
Per giungere a questo era però necessario mantenere un tenore di vita ben definito, nel quale si integrassero (ecco la Scienza Integrale del Kremmerz) la religione, la morale, la politica, la filosofia, la scienza, la medicina, la psicologia, la pedagogia, l’arte, la letteratura: una Scuola Integrale dunque, come quella che il Kremmerz voleva fondare nella Villa della Speranza, citata nella “Porta Ermetica”.
L’uomo, secondo la Scuola Pitagorica, è artefice del proprio destino ed è perfettibile.
Ma il perfezionamento dell’uomo non doveva creare solo un perfetto cittadino, capace di armonizzare la vita politica e sociale; nella Scuola si insegnava che se l’uomo si integra e potenzia sulla terra, di fatto egli prepara in tal modo la successione cosciente delle sue vite, fino a raggiungere la completa e finale assimilazione alla Divinità dalla quale è scaturito.
Quindi un tenore di vita pitagorica, che armonizzasse l’essere umano in tutte le sue componenti, fino a farlo divenire un Messaggero degli Dei, un Ermes, che potesse non solo “parlare e creare”, ma che potesse preparare anche le sue successive incarnazioni, come un Osiride realizzato, fino a giungere alla sua solarizzazione finale, integrazione con l’Assoluto, Horus Solare perfetto e realizzato.
I pitagorici sostenevano quindi che l’uomo può, se opera coscientemente e scientificamente sull’integrità del proprio essere, diventare da mortale ad immortale; ma ciò si poteva ottenere solo con un lavoro continua volto a potenziare e glorificare corpo ed anima: l’uomo, come dice il Kremmerz, non deve essere né tutto corpo né tutto spirito; l’Ermes si realizza infatti con l’equilibrio tra saturno, luna, mercurio e sole.
Dalla storia della Scuola Pitagorica si rileva che tale processo evolutivo nell’uomo si manifestava come una sua capacità taumaturgica e terapeutica; l’uomo pitagorico diveniva un centro di irradiazione di armonia, in esso si accendeva quel fuoco (da notare la perfetta corrispondenza con il centro in cui si origina il pirismo magnetico astrale del Kremmerz) che permetteva all’uomo di compenetrare – Amare – la natura; di parlare e creare, come dice il Kremmerz.
Questa perfezione fisica e morale dell’uomo pitagorico doveva essere conquistata con uno sforzo consapevole, da applicare con continuità nella propria vita. L’uomo pitagorico doveva essere in grado di superare le forze non controllate ed irrazionali che in lui si presentavano; egli doveva avere la divinità come modello e cercare di eliminare il caso dalla vita, sostituire l’attività alla passività.
Una scuola quindi che servisse alla palingenesi umana.
Per far questo Pitagora scelse il luogo fisico più adatto per l’epoca – una città salubre e famosa per la sanità della propria gioventù – e quindi dovette definire un metodo di scelta per coloro che avrebbero dovuto accedere alla Scuola e poter essere avviati a questa mirabile opera di palingenesi.
Una selezione quindi dei futuri discepoli, perché, secondo il detto pitagorico, non ogni legno è adatto a scolpirvi un Mercurio.
L’ammissione alla Scuola Pitagorica doveva essere fatta con molta scrupolosità, tenendo conto della difficoltà dell’insegnamento e soprattutto dell’impegno di disciplina che vi si richiedeva.
Non solo si esaminava la vita profana del futuro discepolo, la sua indole, ma anche veniva esaminata la sua conformazione fisica esteriore: infatti Aulo Gellio ci tramanda che a tale fine Pitagora mise a punto la Fisiognomica.
Superata tale prima selezione, il futuro discepolo veniva ammesso ad un periodo di prova di tre anni, durante il quale veniva tenuto in disparte, quasi trattato male e con disprezzo, per vedere quanto fosse forte la sua volontà di imparare e quanto fosse pronto a perdere qualunque interesse per la propria importanza personale, il proprio ego.
Dopo questi tre anni, se il discepolo aveva dimostrato la propria volontà di imparare e la perdita di gran parte della propria importanza personale, veniva ammesso al noviziato, un periodo di silenzio, che durava da tre a cinque anni, periodo in cui non doveva chiedere spiegazioni su ciò che non capiva, non doveva parlare di ciò che sentiva. Questa era una prova per valutare l’affidabilità dell’allievo e per fargli capire l’importanza del raccoglimento in se stesso.
Questi allievi erano seguiti dagli anziani, ma non potevano accedere direttamente a Pitagora: si diceva che lo udissero parlare da dietro una tenda.
In questa fase di noviziato gli allievi mettevano in comune i propri beni, ma venivano ancora considerati come essoterici, esterni.
In tale periodo inoltre, secondo Giamblico, gli allievi venivano sottoposti anche a prove fisiche, per provare la loro fermezza d’animo.
Chi non avesse superato tale periodo, veniva eliminato dalla Scuola, gli venivano restituiti in misura doppia i beni che aveva messo in comune e veniva dichiarato morto, a tal punto che gli veniva eretto un cippo funerario.
Chi invece superava positivamente tale periodo di noviziato, veniva ammesso ai gradi superiori, che vennero dagli storici denominati in molteplici modi.
Comunque solo tali allievi, che potevano venire a contatto più intimamente con Pitagora, venivano designati pitagorici o interni.
Qui iniziava l’insegnamento matematico. Attraverso astrazioni e concezioni matematiche il discepolo doveva sviluppare la propria capacità di comprendere la natura nelle sue leggi più intime, penetrando le analogie matematiche, che dimostravano l’ordine interno del Tutto, del Cosmos.
Ed il pitagorico continuava lo studio di tutte le discipline atte a fargli comprendere la Natura dell’uomo e dell’Universo intero.
Allargato l’orizzonte intellettuale ed intuitivo con questo difficile percorso, il discepolo doveva sviluppare in sé la capacità di penetrare i segreti divini, essere in grado di creare in sé quel Mercurio intellettuale, quell’Ermes, capace di farlo penetrare nei segreti più profondi della genesi della Natura. Egli diveniva allora un sebastico, un santo, un venerabile, un perfetto. In lui si perfezionava, si trasmutava, lo spirito, fino a superare il livello umano.
Questo in sintesi il programma della Scuola Pitagorica, mai più ripreso in seguito con tale perfezione e rigore.
Nella Scuola vi era una disciplina severa, con un regolamento interno, che fissava l’impiego delle diverse ore del giorno.
I discepoli dovevano essere operosi e le virtù venivano loro insegnate con l’esempio e con l’abitudine, non con discussioni o esortazioni.
Giamblico, Jerocle e Porfirio descrivono una giornata tipo nella Scuola Pitagorica.
Al sorgere del sole il discepolo doveva riportare alla mente quanto aveva fatto il giorno prima, cercando di ripercorrere immaginativamente gli avvenimenti secondo l’ordine con cui si erano succeduti. Poi egli leggeva i Versi Aurei. Quindi il discepolo si ritirava a passeggiare da solo per concentrare il proprio pensiero, prima di relazionarsi con gli altri.
Seguivano le ore di lezione, in cui venivano formati gli animi dei discepoli; tali lezioni prevedevano anche esercizi fisici e di euritmia: ecco l’armonizzazione delle diverse componenti dell’essere umano.
Dopo un pasto frugale, le ore pomeridiane erano occupate nel trattare affari che concernevano la società. Come per i futuri Rosacroce, il lavoro era duplice: operare su di sé ed operare nella società.
Verso sera i discepoli si riunivano a gruppi e, passeggiando, ripetevano ed approfondivano quanto era stato loro insegnato nella giornata.
Dopo un bagno freddo essi consumavano la cena.
Si facevano quindi letture istruttive e prima di separarsi venivano lette delle esortazioni, che ricordavano a ciascuno i doveri verso la Natura tutta, la società, il mondo invisibile.
Prima di coricarsi il pitagorico faceva un esame degli avvenimenti della giornata.
Gli storici antichi sottolineano come tali ripetuti esami delle azioni compiute siano dei veri e propri esercizi di memoria e di immaginazione.
I pitagorici dimostravano sobrietà in tutte le azioni della vita. Per essi era fondamentale mantenere in ogni occasione il dominio su di sé e sulle proprie passioni, sulle proprie passività, in modo da sviluppare una volontà solare.
Questo valeva anche per l’esercizio della sessualità: maggiore era il grado raggiunto dal discepolo, più l’atto della generazione veniva limitato, fino a giungere alla castità assoluta che era prescritta ai venerabili della Scuola, coloro che volevano portare fino in fondo il loro processo evolutivo.
Un aspetto che apparve in un certo senso rivoluzionario per la  Grecia fu la partecipazione delle donne alla Scuola.
La donna veniva elevata al rango di compagna dell’uomo e non sottomessa: le sole donne veramente sapienti nell’antichità furono pitagoriche.
La morte tragica della dotta Ipazia, vittima della folla succube di un vescovo cristiano, simboleggia la scomparsa di quell’elevato tipo di donna, per dare spazio alla donna cristiana, che non viene chiamata a dare un concreto contributo alla vita intellettuale e politica, come invece si sforzava di fare la Scuola Pitagorica.
Un problema che fino ad oggi è rimasto insoluto per gli storici è quello del segreto conservato nella Scuola.
Giamblico sostiene che i pitagorici evitassero di fissare per iscritto le loro dottrine, ma che le tramandassero solo oralmente ed attraverso una forma simbolica, come d’altronde veniva fatto dai Sacerdoti Egizi.
Il segreto più gelosamente custodito sembrava essere la possibilità di foggiare un nuovo tipo di uomo, l’uomo pitagorico, un intermediario tra l’umanità e la divinità, un Ermes messagero degli dei, un Ibi che collega la terra con il cielo.
A questo si collegava anche la visione dell’universo, del cosmo,  dell’esistenza di un centro cosmico: tutte cose contrarie al senso comune e che dovevano essere confidate solo ai discepoli preparati e formati.
Sembra quindi che nella Scuola vi fossero due iniziazioni: una minore ed una maggiore corrispondenti ai piccoli ed ai grandi misteri.
Il segreto aveva anche a che fare con il silenzio. Solo attraverso il silenzio, inteso nella più vasta accezione del termine,  era possibile risvegliare in sé la voce del proprio Nume, del proprio Maestro Interiore.
L’insegnamento, secondo Giamblico e Proclo, avveniva per gradi: le cose venivano prima esposte per similitudine e per immagini, poi per dimostrazioni e simboli, e successivamente, dopo che l’intelligenza si era purificata (era diventata un Ermes) poteva essere esposta la scienza integrale.
Gli affiliati alla Scuola dovevano sentirsi realmente dei Fratelli, dei veri Amici, tra i quali tutto è in comune e che dovevano soccorrersi l’un l’altro in ogni contingenza. Essi si riconoscevano mostrando la stella a cinque punte, il cinque, come successivamente nella Scuola Kremmerziana il segno di saluto sarà la mano destra con le cinque dita aperte.
Relativamente all’aspetto politico, la Scuola Pitagorica riteneva che il governo doveva essere delegato a coloro che erano stati preparati con un lungo ed arduo tirocinio.
Scrive a tal proposito S. Agostino (De Ordine, II, cap. 20): “Io non cesso di ammirare, di lodare, in Pitagora una cosa notevole e che tuttavia mi era sfuggita interamente; ed è che egli non dava ai suoi discepoli l’ultima regola del governo della repubblica, se non quando erano già dotti, perfetti, sapienti, beati. Egli vedeva nella pratica del governo tante tempeste che non voleva esporvi che un uomo armato di una saggezza tale da permettergli di evitare ogni scoglio e che nel caso che tutto gli venisse meno fosse in grado di stare contro ogni mareggiare, egli stesso come uno scoglio”.
Vediamo come nella odierna società si sia molto lontani da tale visione dell’”uomo politico”.
Con tale azione nel sociale Pitagora si proponeva di riportare il divino in terra; la stessa missione se la proposero più tardi anche i Rosacroce.
Ma fu proprio tale azione nel sociale, tale visione politica, che portò verso gli avvenimenti che costrinsero alla chiusura della Scuola.
Passati i primi entusiasmi, questa estesa azione nella società non poteva che generare del malcontento.
Si manifestarono rancori ed odi soprattutto tra coloro che erano stati espulsi dalla Scuola, in quanto non in grado di sostenere il duro lavoro di educazione.
Tra questi Cilone di Crotone si mise a capo di un partito anti pitagorico.
Ai primi contrasti Pitagora si allontanò da Crotone, trasferendosi a Metaponto, dove sembra essere morto nel 490 a.C., tra la venerazione dei metapontini.
A Crotone vi fu una sollevazione popolare capeggiata da Cilone, che allontanò i pitagorici al potere e provocò conflitti interni, che portarono all’incendio della Casa di Milone, ove perirono molti pitagorici, mentre altri dovettero darsi alla fuga.
Un arbitrato decretò l’esilio per tutti i pitagorici.

Ma la fine di Pitagora e della Scola Pitagorica rimane comunque piena di dubbi e punti oscuri.
In sintesi e per concludere si può affermare che la Scuola Pitagorica si proponeva di penetrare nei più profondi segreti della Natura, venendo a contatto con le Forze Vive della Natura, giungendo alla teurgia e creando l’uomo pitagorico, gradino intermedio tra Dio e l’uomo. Ecco quindi una Scuola razionale e non mistica, ma prettamente operativa, che consentiva all’uomo di riconoscere la propria profonda natura divina, realizzarla divenendo un perfetto, e successivamente trasformare la natura del mondo. Tale programma lo si ritrova in tutte le forme esplicative della Tradizione nei diversi luoghi e nelle diverse epoche.
Nel tempo odierno siamo in una condizione molto diversa da quella prospettata da una Scuola Tradizionale; oggi ci si accontenta di essere dei tecnici, di conquistare meccanicamente la Natura, senza trasformare se stessi, ma con tutte le proprie debolezze ed insaziabili appetiti. Oggi non si ha neppure il più lontano sentore di un qualche tenore di vita demiurgico, necessario a divinizzare la natura umana, unico stato che consente all’uomo di interagire creativamente con la Natura.

Riporto quanto scrive Vincenzo Capparelli – “La Sapienza di Pitagora” – I Volume - Ed. Mediterranee – p. 49: “Il pitagorismo, aspirazione ad una vita sempre più alta, piena, perfetta, è però condanna assoluta di questo potenziamento satanico, ottenuto a mezzo di un tecnicismo che ha asservito a sé l’anima moderna. Il pitagorismo sogno di  mondi misteriosi da conquistare, che vuole rendere possibile l’impossibile, slancio verso una sempre maggior potenza, è però slancio regolato, disciplinato, in una parola sapientemente potato; è affermazione che il mondo nella sua intima essenza è ordine, è armonia, e che dove pur tale non sia, vada ordinato, armonizzato, razionalizzato, che quanto vi è di istintivo, di orgiastico, di dionisiaco, nel mondo, nella vita, vada apollonizzato; che l’impero del caos, dell’arbitrario, in una parola dell’irrazionale vada progressivamente ridotto e che nella misura in cui questo si saprà fare si diventerà veramente Uomini, Demiurgi, Dei.”
La Tradizione Ermetica e, in tempi recenti, la Scuola Kremmerziana, approvata dall’Ordine Egizio, tentò di realizzare quanto proposto dalla Scuola Pitagorica. È utile confrontare le difficoltà che oggi i discepoli di tale Scuola vedono come quasi insuperabili (digiuni, castità, riti) con quanto proponeva la Scuola Pitagorica. Non ci si deve meravigliare se le realizzazioni sono poche e difficili. Ma questi sono altri tempi!

  

FDA

 

Accademia Kremmerziana Patavina