La Memoria

Che cos’è e dove risiede la memoria?

Se, come alcuni scienziati sostengono, è situata in parti fisiche del cervello, essa non può che essere un fenomeno limitato alla vita fisica, in quanto nasce e scompare con il cervello fisico, dove avrebbe sede.
Ma allora verrebbe a cadere quanto sostenuto dalla Tradizione Ermetica, che asserisce di poter sperimentare una memoria che è “oltre” il limite della persona fisica, potendo collegarsi ad eventi diversi da quelli vissuti dall’individuo stesso, facendo affiorare ricordi di altri spazi-tempo e che potrebbe anche, in certi casi ed in certe condizioni, “superare” la morte.
Giuliano Kremmerz in La Scienza dei Magi – II Vol. p.117 e seg. – Ed. Mediterranee – a proposito della memoria, scrive: “La memoria, dal punto di vista ermetico, non deve essere considerata che come il meccanismo evocatorio delle idee o immaginate, o foniche o olfattive, o tattili, o saporifiche, che giacciono inerti nel campo misterioso suddetto [il campo astrale]; la esistenza del qual campo in noi e intorno a noi è provata da noi in ogni istante della vita quando parliamo, evocando contemporaneamente parole e idee e suoni, quando provvediamo ai nostri bisogni più umili, quando – ragionando – associamo idee complesse …
Come chiamarlo? – I più moderni l’hanno chiamato incosciente, ma nel linguaggio ermetico e magico è il campo astrale o campo oscuro, fonte e riserva di tutta la nostra coscienza, ma della quale fonte e riserva non abbiamo certezze che solamente pei ricordi che vi attingiamo con le continue evocazioni, per mezzo del meccanismo della memoria.”
È utile approfondire tale tema, anche alla luce di quanto oggi afferma la scienza moderna.
La neurofisiologia ha cercato di spiegare la memoria interpretandola come la costante ritrascrizione di esperienze nel corso di un processo dinamico, che tutte le volte trasforma ciò che viene rievocato.
I ricercatori ritenevano che i ricordi fossero “fissati” in aree specifiche del cervello, mediante engrammi, cioè un insieme di neuroni o speciali tipi di molecole.
 Ma nel cervello non si è riusciti a trovare alcuna traccia di memoria permanente: non sono cioè state scoperte molecole trasformate in maniera permanente.
Karl Pribram, professore di neurofisiologia e neuropsicologia alla Stanford University, già nella prima metà del 1900, iniziò ad interessarsi al problema della localizzazione della memoria e dei ricordi.
Ricerche sperimentali accurate, da lui svolte assieme all’altro grande neuropsicologo Karl Lashley, dimostrarono che i ricordi non erano situati in parti ben precise e localizzate del cervello, ma era come se essi fossero in qualche modo distribuiti per tutto l’intero cervello.
Ma tale linea di ricerca non ha trovato d’accordo tutti gli scienziati: molti hanno continuato a sostenere la tesi che la memoria fosse supportata da reti neuronali.
A tal proposito un altro importante studioso, Gerald Edelman, ha riportato dalle sue ricerche la tesi che la memoria, qualunque forma assuma, possa comunque essere definita come la capacità di ripetere una prestazione.
Secondo tali studi, la base biochimica della memoria andrebbe ricondotta ad alterazioni dei collegamenti delle sinapsi, e tali collegamenti subirebbero continui scambi dinamici. È evidente che, seguendo tale teoria, la memoria non sarebbe in grado di mantenere dei ricordi fissi, ma ci dovrebbe essere, in modo dinamico, una continua ricategorizzazione o ritrascrizione a seguito delle continue sollecitazioni esterne. Tale ipotesi trova conferma nel comportamento animale, che avviene in gran parte per riflessi condizionati.
Ma nell’uomo possiamo trovare una memoria funzionante solo in tal modo?
Non si può non rilevare che il comportamento e la memoria umana si esplicano con modalità più ampie rispetto a quanto avviene nell’animale: nell’uomo infatti si evidenzia non solo una memoria di breve periodo, analoga a quella animale, che modifica il comportamento a seguito di stimoli ricevuti dall’esterno, ma comprende anche il ricordo, molte volte estremamente nitido e talvolta preciso in modo sorprendente, di una sequenza di eventi con un grande insieme di immagini associate. Tali immagini possono essere collegate ad eventi di parecchi anni prima, anche risalenti all’infanzia, e non direttamente collegati a comportamenti immediati.
Esperimenti abbastanza recenti hanno mostrato come l’uomo possa essere influenzato da esperienze che non sono percepibili in maniera cosciente, come ad esempio immagini di durata di frazioni di secondo e che solo sotto ipnosi possono essere rievocate. Sempre mediante la tecnica della ipnoanalisi possono essere portate a coscienza una serie di memorie e ricordi che provengono anche dalla più remota infanzia, pur mancando la consapevolezza di averle vissute.
Quindi la teoria di Edelman, come pure altre teorie similari basate sulle variazioni dinamiche dei collegamenti sinaptici, dovute all’interazione continua con l’ambiente, diventa nettamente insufficiente per spiegare alcuni rilevanti aspetti della memoria umana.
Queste particolari caratteristiche della memoria umana sono chiaramente evidenziate da numerosissimi studi sulle esperienze in prossimità della morte, le cosiddette NDE.
Da questi studi risulta come i ricordi e la relativa memoria delle immagini siano straordinariamente chiari, pur scorrendo a velocità elevata, ed è molto improbabile che tale fatto si possa giustificare (ipotesi comunque avanzata da alcuni ricercatori) con una dissoluzione progressiva del tessuto cerebrale, anche perché lo stesso processo si verifica in modo sistematico e con la stessa evidenza nella psicoterapia della regressione.
Ma allora la scienza attuale presenta delle ipotesi alternative a quelle delle reti neuronali per includere anche i fenomeni tipicamente umani sopra descritti?
Un gruppo di ipotesi di grande interesse si basa sul “campo olografico”.
In tale approccio si parte sostenendo che quanto viene ricordato a lungo termine non è depositato nel cervello, ma che il cervello accede a tali ricordi attingendo ad un “campo”, definibile come “cognitivo” o “morfoforetico”, con caratteristiche olografiche, o anche da alcuni ricercatori denominato “campo psi”.
Per analogia possiamo pensare ad informazioni codificate in un grande computer posizionato lontano e che sono accessibili utilizzando una stazione di lavoro ad esso collegata.
Secondo tali ipotesi, il fenomeno di una memoria “quasi” permanente sarebbe attribuibile ad un vincolo tra i centri cerebrali ed il campo energetico del vuoto quantistico, appunto il “campo morfoforetico”.
Quanto avviene nel cervello, quanto avviene nel corpo, quanto avviene in qualsiasi sistema situato nello spazio e nel tempo e costituito di materia ed energia lascia una “traccia” in questo “campo olografico”, che possiede caratteristiche di vuoto subquantistico: in esso si generano figure di interferenza, che non essendo cancellabili, in quanto non dotate di materia, codificano l’intera storia della materia nello spazio e nel tempo.
L’ipotesi di un “campo psi”, cognitivo e morfoforetico (portatore e conservatore di forma) sostiene che, se le reti neurali deputate alla percezione si trovano in un particolare stato energetico, il cervello non solo scrive in tal campo una “figura” ma la può anche leggere.
Poiché le forme d’onda si possono diffondere nel vuoto quasi istantaneamente e non subiscono alcuna attenuazione nel tempo, ciò che  il cervello può attingere in tale campo esce dai confini spazio-temporali. Ecco allora che un individuo può accedere a ricordi e forme immaginative di periodi passati della propria vita.
Ma vi è di più.
Esistono parecchi casi, studiati dai ricercatori, che dimostrano la presenza di una memoria trans-personale o di ricordi non derivanti dalla propria storia personale di vita.
Secondo l’ipotesi del “campo psi” olografico, questo tipo di memoria può essere spiegato con l’estensione della banda di ricettività all’interno del campo stesso.
Alcuni studi ed esperimenti sembrano dimostrare che stati alterati di coscienza possano creare tale allargamento della banda di ricettività.
L’individuo, in tali stati, riesce ad accedere e ad elaborare tutti i segnali del “campo psi”, che sono presenti in tale banda di ricettività ampliata. Inoltre, recenti esperienze effettuate con tracciati di encefalogramma (EEG) dimostrano come in stato di meditazione o concentrazione le onde cerebrali delle persone tendono ad una sincronizzazione particolarmente elevata, che consentirebbe un accesso comune a bande particolari presenti nel “campo psi”.
Con tale ipotesi si spiegherebbero quindi sia la memoria a lungo termine, sia i ricordi trans-personali, sia le intuizioni simultanee che molte volte si verificano tra individui e all’interno di gruppi culturali.
In particolari stati alterati di coscienza possono apparire anche ricordi provenienti apparentemente da vite passate. Questo può avvenire quando uno psicoterapeuta induce i pazienti ad uno stato di rilassamento profondo, verrebbe da dire in uno stato di silenzio perfetto.
È da notare che questo stato è naturale nei bambini molto piccoli, che presentano le loro reti neuronali quasi permanentemente in una condizione alfa, quella appunto tipica degli stati di meditazione.
Alla luce di quanto fin qui esposto, che tiene conto delle ricerche scientifiche in materia di neurofisiologia, è interessante rileggere come la Tradizione Ermetica ed in particolare Giuliano Kremmerz  definiscono il “campo astrale”, straordinariamente simile al “campo psi” morfoforetico ed olografico della scienza moderna.
Kremmerz infatti scrive in La Scienza dei Magi II Vol., p. 119 e seg.: “Il campo astrale, oscuro, misterioso che è in noi, cioè in ognuno degli esseri umani, è anche nella immensa sintesi dell’universo. Nell’uomo è la riserva occulta della sua storia, nell’universo è la matrice di tutte le vite vissute, di tutte le forme immaginate, di tutti i pensieri voluti. Il campo o zona o corrente astrale universale comprende in sé i campi parziali di tutti gli uomini. Quindi dalla zona o campo astrale proprio, si può penetrare in quello universale, da questo discendere in ognuno dei particolari. […] I caratteri di riserva atavica si manifestano nelle famiglie, si allargano nelle tribù e si generalizzano nelle razze. Ogni uomo porta impressi i caratteri particolari della sua storia individuale nel suo astrale misterioso, il cui fondo riflette il colore spiccato della famiglia di un fondo o cielo più vasto che è quello della razza.
Ogni uomo nasce con le sue memorie che ne determinano caratteri, evoluzione e vita, in armonia o in disarmonia coi caratteri genetici dei genitori da cui procede. Ogni uomo può risvegliare la sua individualità storica, quando la contribuzione dell’astralità dei genitori della sua carne o forma presente, non costituisce tale un substrato nuovo che inabissa l’antico. Ogni uomo che nasce subendo l’astralità dei genitori, nel periodo della sua educazione nuova amalgama il fattore suo, principale o storico, ai fattori atavici, e li cementa con una forma di adattabilità all’ambienta, direi con una vernice che è il frutto della sua esperienza pedagogica, e acquista una fisionomia rinnovellata.
Ogni crisi umana morale o mentale, di natura fisica o psichica, tende a mettere in evidenza l’elemento storico fremente di libertà e di riscossa, l’amore, l’odio, l’ira, il delirio, la disperazione, il dolore, la gioia.”

Il serio ricercatore ermetico deve affrontare il meccanismo della memoria anche perché attraverso tale processo egli si pone nelle condizioni di tentar di risolvere il problema della morte.
A tale proposito, in conclusione e come stimolo di riflessione, è utile ricordare quanto scrive il Kremmerz circa la “vita futura nel dopo morte” ; da La Scienza dei Magi – II Vol. p. 346:
“L’iniziatore ti dice: non credere. Tra la fede e la scienza vi è un abisso. L’iniziatore non dice ‘credi’, dice ‘prova’. Vuoi sapere il ‘dopo morte’? O prova a ricordarti donde vieni, o prova a morire per ricordare.”

                                                                                                                      FDA