La tradizione ermetica

Iniziamo con una domanda.
Che cos’è l’Ermetismo, di cui la Tradizione Ermetica è la trasmissione attraverso le epoche?
Il termine Ermetismo deriva da Ermes.
Scrive G. Kremmerz in La Scienza dei magi” – II Vol., Ed. Mediterranee – p. 5: “[…] Ermes, Anubi, Mercurio, Esculapio, vollero indicare l’identica proprietà mentale che ci congiunge alla verità dei cieli antropomorfi divini delle religioni simboliche di una volta.
Nel linguaggio greco Ermes è Mercurio e Tempio: la facoltà di interpretare si chiamava ermenìa ed ermeneus l’interprete; ermeneuo significa insegnare, ermoglifi: l’arte dello statuario, la scultura, cioè l’espressione plastica delle forme mentali. Ermeneutica è l’interpretazione dei libri sacri antichi.
Quindi filosofia ermetica fu la filosofia sottile, capace d’interpretare e far manifestare l’Ermes, quindi scienza per eccellenza, penetrativa della parte più misteriosa del nostro campo mentale, ed ermetista si chiamò l’artista che metteva in pratica e realizzava i predicati dell’ermetica come scienza sottile al punto da crederla divina.
In fondo, Ermes è l’intelletto della forza divinizzante l’uomo.”
Questa Scienza Sacra proviene, nel nostro Occidente, dall’Egitto: Scienza che veniva insegnata nei Templi e sulla quale si fondava l’evoluzione dell’umanità.
Scrive R. A. Schwaller de Lubicz in La teocrazia faraonica – Ed. Mediterranee – p. 13: “La Scienza sacra, la Scienza sacerdotale, per eccellenza era, fin dalle origini dell’impero egizio, la ‘scienza di Thot’, il Maestro delle parole divine e degli scritti sacri. Questa scienza, scritta sui rotoli di papiro, comprendeva tanto il mito, i riti religiosi, la medicina, la geometria e l’astronomia che le leggi della vita quotidiana e della giustizia. Questi libri sacri erano conservati nei santuari dei templi egiziani ed erano accessibili esclusivamente alle più alte autorità religiose e regali.
Era peraltro del tutto naturale che un qualsiasi scriba si dicesse ‘servitore di Thot’ – il ‘signore degli scritti’ – il che, verso la fine dell’Egitto, indusse i Greci a parlare della scienza in generale come della scienza di Thot, vale a dire di Ermes, da cui derivò la volgarizzazione del senso della Scienza sacra sotto il termine di Ermetismo.”
Finalità della Scienza Sacra era dunque quello di attivare nell’uomo quella forma di intelligenza, che gli consentisse di aver accesso al mondo delle cause, comprenderne le leggi e potere, uno con esse, entrare coscientemente nel processo evolutivo.
Quindi non solo comprensione ma anche dimensione operativa, che permettesse di operare al fine di trasmutare la materia dal “peggio al meglio”, dal caos all’ordine, dal piombo all’oro.
L’Ermetismo, nella sua dimensione operativa, venne definito anche Alchimia.
Scrive R. A. Schwaller de Lubicz in La teocrazia faraonica, cit., p. 13: “Qual è allora la posizione dell’uomo attuale di fronte a questa ‘scienza ermetica’, comunemente chiamata Alchimia, parola di origine islamica, che significa ‘scienza di Al Kemit’, che l’invasore arabo conobbe in Egitto, l’antica Kemit che tanto illuminò l’Islam che partiva alla conquista del mondo? […] Il falso concetto della trasmutazione trasmesso dalla nostra scienza razionale e materialista fa sì che quest’ultima sia non soltanto inumana nelle sue conseguenze, ma anche dannosa, in quanto devia la vera ricerca.
La scienza di Thot è la scienza sacerdotale di tutti i tempi, poiché essa si fonda (e sarebbe totalmente assurda se non lo facesse) su di una base irrazionale, identica alla base di qualsiasi filosofia fin dall’inizio di tutte le cose.
Non vi è alcun corpo determinato che possa servire come punto di partenza per l’ ‘Opera’, in quanto non si tratta di decomporre la materia, come fanno i nostri atomisti, bensì di generare la materia del mondo ad immagine della creazione. Si tratta, dunque, della Conoscenza rivelata – e non di una scienza razionale.”
Ma partiamo dall’inizio.
Partiamo  dalla figura leggendaria di Ermete Trismegisto.
Vediamo come viene descritto Ermete (Frammento XXIII – Stobeo, Antologia, I, 49,44; vol. I, p. 385 Wachsmuth – Estratto del Libro Sacro Kore Kosmou – tratto da Corpus Hermeticum – Ed. Bompiani – p. 1061 e segg.): “[L’Assoluto] quando decise di rivelare chi fosse, ispirò desideri d’amore ad alcuni dèi, e fece dono alle loro menti dello splendore che egli aveva in petto, affinché in primo luogo desiderassero ricercarlo, poi bramassero di trovarlo, e quindi avessero la facoltà di riuscirvi.
Ebbene, Horus, figlio mio degno di ammirazione, ciò non sarebbe potuto avvenire in un essere di stirpe mortale – che infatti non esisteva ancora –, bensì in un’anima che si trovasse in relazione di simpatia con i misteri del cielo. Ebbene, questi era Ermete, che ha conosciuto tutte le cose. Egli vide tutte le cose, e, avendole viste, comprese, e, avendo compreso, ebbe il potere di rivelarle e di mostrarle. E infatti, le cose che comprese, le incise, e, dopo averle incise, le nascose, passando sotto silenzio la maggior parte di esse più volentieri che non parlandone, perché ogni generazione nata dopo il principio del mondo avesse a ricercarle. […] Comunque gli venne la decisione precisa di deporre accanto agli oggetti segreti di Osiride i sacri simboli degli elementi cosmici, e, dopo aver pronunciato determinate parole, ritornare in cielo. […] Occorre che io riferisca tutto quello che disse Ermete, deponendo i libri: ‘O libri sacri, che siete stati scritti dalle mie mani incorruttibili, che io ho unto con il filtro dell’immortalità, e ho il potere, rimanete imputrescibili e incorruttibili per tutta l’eternità, senza essere osservati né trovati da nessuno che sia destinato a percorrere le piane di questa terra, fino a quando il cielo, ormai anziano, non avrà generato sistemi degni di voi, quelle che il Creatore ha chiamato anime.’ Dopo aver detto tutto questo ai libri e dopo aver rivolto una preghiera alle sue stesse creature, entra, attraversando il recinto sacro, nelle zone a lui proprie.”
Quindi una Scienza Sacra, che deve essere riscoperta da ciascun uomo, attivando in sé quello stato dell’Intelligenza – intelligenza ermetica – che gli consenta di leggere nel mondo delle cause. Questo, e solo questo, è il vero significato di ‘segreto ermetico’ e di ‘esoterismo’.
La Scienza Ermetica rimane inalterata nei tempi e nei luoghi, conservata pura in una zona accessibile solo a chi opera in se stesso per risvegliare l’Intelligenza, che consente di accedere ai ‘libri sacri nascosti da Ermete’.
Quella che viene definita come Tradizione Ermetica può essere considerata la trasmissione attraverso le epoche ed i popoli dei metodi e del lavoro da fare per risvegliare l’Ermes in sé. La Tradizione quindi si ‘appoggiò’ a uomini, a ‘Scuole’, a movimenti, che fecero ad essa da supporto, rimanendo poi vuoti simulacri, una volta compiuta la propria missione di trasmissione. La Tradizione è sempre viva e si incarna nelle forme, che le epoche ed il livello evolutivo umano le consentono.
Esaminiamo, in modo molto sintetico, alcune forme di espressione della Tradizione Ermetica nei diversi periodi.
Dai Templi Egizi tale Scienza Sacra si diffuse, in parte anche corrompendosi, volgarizzandosi, nel bacino del Mediterraneo ed oltre.
Attraverso l’Egitto greco-romano e con l’estendersi della Magna Grecia, nel bacino del Mediterraneo, giunsero così le conoscenze derivate dai Templi Egizi.
La Scuola Pitagorica ne è uno degli esempi più luminosi.
Di Pitagora e della sua “Scuola” sono giunte solo tre biografie e questo ne ha anche alimentato il mito.
La più antica fa parte dell’opera di Diogene Laerzio (II sec. d.C.), la seconda appartiene ad Apollonio di Tiana, neopitagorico del I sec. d.C., che è piena di racconti incredibili, la terza è di Porfirio (233 – 303 d.C.), troppo recente e quindi lontana dalle testimonianze dirette.
Di Pitagora, portatore nella Magna Grecia della Scienza Sacra Egizia, in quanto è certo che fu discepolo di sacerdoti egizi, si diceva: “Egli non insegna, egli guarisce le anime”. Questo va sottolineato, in quanto l’Ermetismo rifugge da insegnamenti teorici, culturali ed è invece operativo: insegna operando. La Scuola di Pitagora a Crotone venne distrutta proprio quando egli si mise a fare scuola e ad occuparsi di politica.
Quando la sapienza derivata dal Tempio Egizio entrò in contatto con la cultura greca ne subì l’influsso e si sviluppò una letteratura in greco, che aveva come figura centrale Thoth – Ermete.
È tra il 100 ed il 300 d.C. che si colloca la raccolta di dialoghi, che va sotto il nome di Corpus Hermeticum.
Essi si presentano già come un sincretismo di idee non più esclusivamente egizie, ma mescolate ad altre correnti filosofiche della stessa epoca. Essi sono così suddivisi:
- il Corpus Hermeticum, costituito da 17 Trattati
- l’Asclepio, traduzione latina di un Discorso Perfetto di rivelazione ermetica, che presenta molte parti che sono poi state ritrovate nei manoscritti copti rinvenuti a Nag Hammadi nel deserto egiziano.
- Gli Estratti di Stobeo, scoliasta bizantino.
In questi scritti viene indicato un ‘genere di vita’ da condurre per acquisire quella neutralità ed intelligenza ermetica, di cui si è detto prima. Sono indicate modalità di preghiera e si rileva soprattutto la necessità per l’operatore di una separazione cosciente dal mondo esterno. Si ritrova in questi scritti l’importanza che viene data a questa ‘Via’, che deve essere seguita per poter accedere al mondo delle cause e la necessità di farla conoscere ad altri uomini.
Zosimo di Panopoli, alchimista del III sec. d.C., primo autore di cui si conoscono gli scritti (Memorie autentiche e Capitoli a Teosebia) e che si presenta come figura storica, priva di aloni divini o mitici, conosceva tali opere. Egli, pur essendo nato a Panopoli, lavorò ad Alessandria d’Egitto, vivace centro di sincretismo culturale, ove si fondevano culture e visioni apparentemente diverse della Tradizione Unica.
Si diceva di lui che fosse la Corona dei filosofi e che il suo linguaggio avesse la Profondità dell’Abisso.
È utile ricordare alcuni concetti da lui espressi (Berthelot, Coll. (1) 181; 2327 f8, cf. f 106 e 149):
“Sopra, le cose celesti; sotto, quelle terrene. Per mezzo del maschile e del femminile l’opera è compiuta.” “ Non rivelate nulla ad alcuno e mantenete per voi queste cose. Il silenzio insegna la virtù. È molto bello comprendere la trasmutazione dei Quattro Metalli, piombo, rame, stagno, argento, e sapere come trasformarli in Oro perfetto.” “ Questo è il segreto che si è giurato di non rivelare mai.” “Questa pietra che non è una pietra, questa cosa preziosa che non ha valore, questa cosa polimorfa che non ha forma, questa cosa ignota che è conosciuta da tutti.”
Nel suo “Commentario alla Lettera Omega” egli evidenzia la differenza tra l’uomo comune, passivo e subente la vita ed il Fato, ed il Filosofo Ermetico, padrone del suo destino e libero. Egli scrive (Alchimistes Grecs - Berthelot, Coll. 228, 7-11; Bidez-Cumont, Les Mages hellénisés – II – 234 segg.): “Ma tali uomini [gli uomini comuni – n.d.a.] non potevano trovare ammissione alla presenza di Dio o dei filosofi alchimisti. Basta che i tempi mutino nuovamente nella forma e migliorino di momento in momento, basta che il daimon conceda loro benefici materiali, e ancora una volta cambieranno di opinione e concorderanno con l’opposto di quanto stanno affermando. Essi dimenticano tutte le precedenti prove di fatto, e sempre spinti dal Fato, sia in favore della predetta opinione sia contrariamente a essa, non riescono a concepire altro che cose materiali, null’altro che Fatalità. Questi sono gli uomini che, nel suo libro Sulle Nature, Ermete definì ‘Uomini senza intelletto, semplici marionette nella processione del Fato, privi di ogni idea di cose incorporee, e perfino del Fato stesso che li trascina giustamente per via, sebbene non cessino mai di protestare contro le correzioni corporee da esso prodotte, incapaci di immaginare nulla al di là dei benefici da esso concessi.’ […] Ermete e Zoroastro hanno dichiarato che la stirpe dei filosofi è al di sopra del Fato, in quanto non si rallegrano della buona fortuna offerta da questo. Piuttosto, essi sono i padroni dei piaceri e non vengono abbattuti dai mali inviati dal Fato, se guardano veramente al di là delle loro disgrazie. E non accettano i bei doni che provengono da esso, in quanto trascorrono la loro vita nell’immaterialità.”

Se all’inizio l’ermetismo non venne condannato dai Padri della Chiesa cristiana, con Agostino (354 – 430) si giunse ad una ferma condanna di tali dottrine.
Fu anche per questo che dopo Agostino, in Occidente vi fu un oscuramento dell’ermetismo, che invece a Costantinopoli, nell’impero bizantino e nei territori conquistati dall’Islam si mantenne vitale.
Fu nei secoli VII e VIII d.C. che si può rilevare in alcuni scritti ermetici, come il Testamento di Morieno, il Libro di Sofe e i Septem Tractatus Hermetis il passaggio della Tradizione Ermetica da Bisanzio al mondo islamico.
Fu attorno al 750 d.C. che comparvero gli scritti di Gabir ibn Hayyan, latinizzato in Geber, considerato il fondatore dell’ermetismo alchemico arabo. I concetti ermetici fondamentali e centrali nell’opera di Gabir sono essenzialmente la “teoria della bilancia” e la possibilità creativa umana.
Con la “teoria della bilancia” viene esposto il tema della scienza delle proporzioni: sono queste che ordinano il mondo, sia esso materiale che spirituale.
Considerando la possibilità creativa umana, egli evidenzia come l’uomo possa destare in sé la capacità di generare, aiutando l’opera della natura, prodotti migliori di quanto la natura stessa non abbia fatto. L’uomo appare quindi un artefice e un creatore, che con l’Arte ermetica può aiutare la natura a proseguire e portare al massimo le proprie creazioni. È con Gabir e con i discepoli della sua scuola che viene esposto il concetto di elixir, sostanza vitale perfetta prodotta dall’opera dell’uomo e che è in grado di trasmettere ad altri corpi la propria perfezione.
Nel X sec. d.C. compaiono le opere ermetiche di Artefio, che nel suo trattato Chiave della Sapienza indica un forte legame tra la cosmologia ermetica e l’operatività alchemica.
Sempre in tale periodo compare la Turba philosophorum, che in forma di dialoghi, che avvengono tra partecipanti ad una immaginaria riunione di filosofi presocratici presieduta da Pitagora stesso, evidenzia ancora una volta i rapporti tra la dimensione operativa dell’ermetismo e la visione cosmologica. Se si disciolgono i corpi elementari è possibile giungere a quella materia prima unica in tutto il cosmo, che attraverso la sua condensazione è in grado di formare tutto ciò che è presente nel microcosmo e nel macrocosmo.
Nella stessa epoca, in altri testi ermetici di matrice araba (Ibn Umayl – Lettera del Sole alla Luna crescente) viene esposto il tema fondamentale dell’ermetismo, che vede nell’opera di creazione l’unione dei due principi – Sole e Luna . Il simbolismo nuziale è alla base del simbolismo della coniunctio degli opposti, che, una volta portati alla loro purezza iniziale, possono creare un embrione perfetto ed immortale.
È nei secoli X ed XI che l’ermetismo si sviluppa nella Spagna islamica, dove compare il testo ermetico Picatrix.
In tale periodo compaiono anche le opere ermetiche di Michele Psello e di Avicenna. Con Avicenna e con gli autori successivi, che si riferirono a lui, si richiama ancora una volta l’attenzione sul concetto di elixir, sostanza perfetta che può irradiare la propria perfezione ad altri corpi.
Tra il XII ed il XIII sec. d.C. vi fu una diffusione nel mondo latino di testi ermetici tradotti dall’arabo.
Fu nella prima metà del XIII sec. d.C. che Federico II raccolse alla sua corte studiosi di ermetismo. Tra questi, il filosofo, mago, astrologo, alchimista Michele Scoto compose l’Arte d’Alchimia, tra i primi testi redatti in lingua latina.
In tale periodo l’ermetismo si diffonde e risulta presente in tutto il bacino del Mediterraneo.
È da notare come, sempre in questo secolo, l’ermetismo entri nelle discussioni universitarie e acquisti anche una dimensione terapeutica.
L’utilizzare le pratiche ermetiche ed alchemiche per la terapeutica, con il concetto della Medicina Universale, è un aspetto basilare tramandato dalla Tradizione Ermetica. Un Adepto, che avesse creato in se stesso una forma perfetta di equilibrio profondo, non poteva non trasmettere ad altri tale equilibrio, come un magnete trasmette il suo magnetismo ad un pezzo di ferro. Tale era anche il concetto di elixir, prima esposto.
In tale periodo vanno ricordate le figure di Ruggero Bacone e di Alberto Magno.
Va anche sottolineato che speculazioni scolastiche, fatte da studiosi teorici e non praticanti e che tanto meno conoscevano il significato della vera Tradizione Ermetica, portò a delle deviazioni, soprattutto per quanto riguarda l’Alchimia, che in certi ambienti diventò una chimica primordiale sperimentale, allontanandosi così dal senso vero e profondo dell’Alchimia.
Agli inizi del 1300 papa Giovanni XXII, con il Decretale Spondent, fa cessare il dibattito scolastico sull’ermetismo e l’alchimia, radiando tali discipline dalle università, e condannando gli alchimisti, meglio sarebbe chiamarli soffiatori, come falsari.
Nonostante la condanna della Chiesa Cattolica l’ermetismo esercitò forti influssi in figure come Pietro d’Abano e Cecco d’Ascoli.
Entrambi furono perseguitati dall’inquisizione, dovendo il primo rifugiarsi a Parigi, mentre Cecco d’Ascoli fu condannato al rogo a Firenze nel 1327.
Nella metà del 1300 vanno ricordati i lavori di Arnaldo da Villanova, che dedica al re di Napoli Roberto d’Angiò il suo Rosarius, nel quale espone la dottrina del “mercurio solo”, di chiara derivazione ermetico-alchemica. Da questo mercurio è possibile far derivare l’elixir, agente di perfezione e farmaco universale.
Nella stessa epoca Giovanni da Rupescissa presenta l’ermetismo e la sua dimensione operativa, l’Alchimia, come un “dono divino”, nel suo Liber Lucis. È importante rilevare come l’ermetismo venga considerato una disciplina diversa dalle altre, in quanto richiede una particolare disposizione dell’operatore per poter risvegliare quell’Intelligenza ermetica, che consente di accedere alla conoscenza della natura e delle sue operazioni segrete, come se si trattasse di un dono divino. Inoltre forse per la prima volta la pietra dei filosofi viene paragonata al Cristo.
Verso la fine del 14° secolo e gli inizi del 15° si moltiplicano testi di Ermetismo e di Alchimia: va ricordato Raimondo Lullo  e l’Alchimia pseudolulliana, che si diffonde in Italia, in particolare a Venezia, Padova, Firenze, Napoli e in Sicilia.
In Italia, nel quindicesimo secolo giungono anche gli scritti del Corpus Hermeticum sopra citati, in particolare il Pimandro. Fu un monaco che dalla Macedonia li portò a Firenze  e ne fece dono a Cosimo de’ Medici. Questi ne ordinò la traduzione a Marsilio Ficino nel 1471. I Medici, duchi di Firenze, furono studiosi e praticanti dell’ermetismo alchemico. Cosimo, suo figlio Francesco e suo nipote don Antonio, furono tre alchimisti, che seguirono all’esperienza di Lorenzo il Magnifico, a sua volta amico e fratello di iniziati quali Pico della Mirandola, il Poliziano e Marsilio Ficino stesso.
Il Palazzo Vecchio di Firenze si presenta con affreschi e stucchi tali da renderlo una “Dimora Filosofale”: vi si trovano la Sala degli Elementi, i preziosi laboratori di Cosimo e Francesco, lo Studiolo e la grandiosa Sala Dipinta.
È interessante notare come in questa dimora fiorentina, nella camera di Cosimo de’ Medici, esistesse una porticina che dava accesso ad una scaletta, per salire in uno stanzino, definito il Tesoretto. Si tratta di un ambiente quadrato con lati di meno di tre metri ed alto circa due metri e mezzo, illuminato molto poco da una piccolissima finestra. Cosa andava a fare Cosimo de’ Medici in questo stanzino pressoché privo di luce, molto piccolo, dove non era possibile né leggere né scrivere adeguatamente? Lasciamo la possibile risposta all’arguzia del lettore.
Tra il XV e XVI sec. d.C. l’abate Johann Trithemius di Spanheim (1461–1516) nella Steganografia presenta la dimensione rituale e teurgica dell’ermetismo, mentre nel Tractatus chemicus, affronta più specificatamente il tema operativo alchemico.
 Nel 1500 appare la figura importante e fondamentale per l’Ermetismo di Paracelso – Teofrast Bombast von Hohenheim, 1493–1541. Piace ricordare subito il motto di Paracelso, che dovrebbe servire da monito per ogni vero studioso e praticante di Ermetismo: “Alterius non sit qui suus esse potest” (D’altri non sia chi può esser di se stesso).
Egli fu istruito da Johann Trithemius di Spanheim. Paracelso fu un grande viaggiatore e raccolse gli insegnamenti ermetici, presenti in gran parte d’Europa. Non è questa la sede per un esame degli scritti lasciati da Paracelso e soprattutto dai suoi discepoli; è invece importante sottolineare la sua opera di libertà contro le forme di conservatorismo dei medici ortodossi e dei filosofi dei suoi tempi. Si creò molti nemici, perché ebbe il coraggio di presentare le idee profonde e sempre valide dell’ermetismo contro forme cristallizzate di cultura. Un altro aspetto da sottolineare nell’opera di Paracelso è la dimensione terapeutica e medica dell’ermetismo. Nel Paragranum l’Alchimia e le Arti Alchemiche sono presentate come uno dei pilastri della medicina.
In parecchie opere di tale periodo si rileva un’accentuazione di quella deviazione dalla pura operatività ermetica ed alchemica verso una pratica di laboratorio, antenata della chimica moderna, e che nulla ha a che fare con la vera Alchimia.
Alla fine del 1500 compaiono comunque opere importanti di vero ermetismo. A tale riguardo vanno ricordate le immagini simboliche che compaiono nella Pratica in dodici chiavi di Basilio Valentino e la sua opera Cocchio Trionfale dell’Antimonio.
Durante il Rinascimento e fino al 17° secolo l’ermetismo si diffuse attraverso opere di Pico della Mirandola, Cornelio Agrippa, Marsilio Ficino, Giordano Bruno, Campanella. Si mescolò anche a correnti della Kabbala ebraica e a certi aspetti della Gnosi, venendosi così a creare un ulteriore sincretismo.
Di Pico della Mirandola deve essere ricordato il seguente brano, che rende perfettamente la visione dell’uomo che si ha nella Tradizione Ermetica (De hominis dignitate, in De hominis dignitate, heptaplus, De ente et uno e scritti vari, a cura di Eugenio Garin, Firenze, Vallecchi, 1942, pp. 105-107.): dice l’ottimo artefice all’uomo: “ Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.”
Nel 1584 nasce a Nola la luminosa figura di uno dei più grandi rappresentanti della Tradizione Ermetica: Giordano Bruno. A 17 anni egli entra nel convento di San Domenico a Napoli, situato nei pressi di quella Piazzetta Nilo, che vedremo rappresentare un nodo centrale dell’ermetismo italico.
Personalità libera, non intende tacere ed esprime sempre e comunque la propria visione del mondo, che è poi quella ermetica, la più pura ed integrale, priva di misticismi, ma riaffermante il pensiero libero dell’uomo, che può accedere ad uno stato puro dell’Intelligenza, a contatto con il mondo delle cause. Dopo solo un anno di permanenza al convento subisce un primo procedimento disciplinare per aver gettato via ed aver irriso alcune immagini di santi. Incapace di assoggettarsi a forme vuote di misticismo, è costretto a peregrinare per l’Italia e per l’Europa. Da Napoli fugge a Roma, a Venezia, a Ginevra, a Tolosa, a Parigi, a Oxford, a Marburgo, a Wittenberg, a Helmstedt, a Praga, e poi nuovamente a Venezia e a Roma, dove il 17 febbraio 1600 viene arso vivo in Campo de’ Fiori, con la lingua “in giova per le bruttissime parole che diceva.”
Non esita a dichiarare false le dottrine della Chiesa, avvicinandosi alle origini egizie della Tradizione Ermetica, ed afferma essere superata l’era del cristianesimo, auspicando una pax universalis, che viene ostacolata dall’intransigenza della Chiesa cattolica stessa.
Non è possibile in questa breve panoramica della Tradizione Ermetica racchiudere compiutamente il pensiero ermetico di Giordano Bruno. Basti dire che egli si riteneva un Mercurio ed era convinto che la sua anima se ne sarebbe “ascesa con quel fumo in paradiso”, ma sarebbe poi risorta dalle ceneri, come la fenice.
Ma vediamo meglio cosa significava per Bruno essere un Mercurio, perché questo aspetto chiarisce come la Tradizione Ermetica si trasmette attraverso le epoche.
Per chiarirne il senso si riporta uanto scritto da Michele Ciliberto in Giordano Bruno – Il teatro della vita – Ed. Mondadori – 2007 – p. 391: “La verità, Bruno sa anche questo, non è – e non può essere – ‘figlia del tempo’; il sapere non si accresce secondo un ritmo indefinito; nel processo della civiltà ci sono delle discontinuità, vuoti che lasciano nelle nostre mani – come foglie disperse – solo pochi frammenti delle antiche verità, che bisogna riannodare l’uno all’altro, come se si costruisse un mosaico. È questa, nella ‘ruota del tempo’, la funzione propria del Mercurio, dell’angelo inviato dagli dèi per restaurare e diffondere tra gli uomini le antiche verità. Ma i Mercuri – e su questo Bruno è chiaro – non si limitano a restaurare, come semplici custodi, la verità: intrecciando, fino a fonderle, biografia e verità, essi restaurano – rinnovandola e potenziandola – l’antica sapienza, riportandola alla luce in modi e forme nuove, dopo secoli di tenebra. La ‘rinascita’ dell’antica verità è sempre – al tempo stesso – ‘nascita‘ di nuove verità; i ‘frutti’ del sapere sono sempre – e al tempo stesso – antichi e nuovi; la sapienza muta indefinitamente luoghi e forme, attraversando paesi e nazioni differenti, senza mai tornare eguale sui suoi passi. Di tutto questo Bruno è consapevole per esperienza diretta, personale: né dal punto di vista ‘oggettivo’ né da quello ‘soggettivo’ è possibile, o concepibile, un movimento lineare, diretto, tra ‘passato’ e ‘presente’: quello che ‘ripullula’, dopo un lungo ciclo di ignoranza, è, simultaneamente, ‘vecchio’ e ‘originale’.”
Nel 17° secolo d.C. vi è una grande espansione dell’ermetismo, non sempre nella sua purezza. La diffusione avviene in tutta l’Europa centrale: a Praga Rodolfo II d’Asburgo raccoglie alla sua corte numerosi ermetisti ed alchimisti.
In questo secolo compaiono i Manifesti dei Rosacroce, presumibilmente redatti da J.V. Andreae e dal gruppo di studiosi del Cenacolo di Tubinga. In questi Manifesti, che diedero origine al mito della Fratellanza Occulta dei Rosacroce, la dottrina ermetica e la sua dimensione alchemica si innestano in una visione di una riforma globale della società.
Fu a Kassel che nel 1614 apparvero le prime due opere sull’Ordine dei Rosacroce.
La prima opera – Fama Fraternitatis - ha un titolo completo molto lungo, che ne indica i contenuti: “Riforma universale e generale di tutto il vasto mondo, seguito dalla Fama Fraternitatis del lodevole Ordine della Rosacroce, indirizzato a tutti i sapienti e capi d’Europa.”
La seconda opera porta questo titolo “Confessio Fraternitatis ovvero Credo dell’esimia Confraternita dell’illustrissimo Rosenkreutz indirizzato ai dotti d’Europa”.
Nel 1616 compare a Strasburgo la terza opera: “Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreutz: Anno 1459”.
Su questo Ordine Ermetico Occulto, alla presenza di un proliferare di Associazioni che ne portano il nome, va ribadito in modo fermo che i “veri Rosacroce” non si sono mai fregiati di tale nome.
È pienamente condivisibile quanto Fulcanelli scrive in Le Dimore Filosofali – I Vol. – Ed Mediterranee – p. 207: “Probabilmente non sapremo mai quale oscura ragione guidò Valentin Andreae, o piuttosto l’autore tedesco che si nasconde sotto questo pseudonimo, facendogli stampare, a Francoforte sull’Oder, circa nel 1614, l’opuscolo intitolato Fama Fraternitatis Rosae-Crucis.
Forse egli perseguiva uno scopo politico, sia che cercasse di controbilanciare con una fittizia potenza occulta l’autorità delle logge massoniche del tempo, sia che volesse provocare il raggruppamento dei Rosa-Croce, disseminati un po’ dovunque, in un’unica confraternita depositaria dei loro segreti.
Comunque sia, se il Manifesto della Confraternita non riuscì a realizzare nessuno di questi scopi, contribuì, però, a diffondere nel pubblico la notizia d’una setta sconosciuta, dotata dei più stravaganti attributi. […] Insomma la confraternita mistica, malgrado la benevola affiliazione di alcune personalità scientifiche delle quali il Manifesto sorprese la buona fede, non è mai realmente esistita se non nel desiderio del suo autore. È una favola e niente di più. […] Del resto non sosterremo che Valentin Andreae abbia ingrandito di molto le virtù straordinarie, che alcuni filosofi, più entusiasti che sinceri, accordano alla Medicina Universale. Se costui attribuisce ai confratelli ciò che potrebbe far parte soltanto del Magistero, troviamo in questo almeno la prova che il suo convincimento era basato sulla realtà della pietra. &[…] I veri Rosa-Croce, i soli che possono portare questo titolo e fornire la prova materiale della loro scienza, non sanno che farsene d’un titolo. Vivendo isolati, in un austero ritiro, non temono d’essere riconosciuti, neanche dai loro confratelli. […] Valentin Andreae riconosce l’impossibilità di identificarli, simili, come sono, a dei gran signori che viaggiano in incognito sotto gli abiti, e in carrozza, borghesi. Sono invisibili perché sono in incognito. Niente li caratterizza, tranne la modestia, la semplicità e la tolleranza, virtù generalmente disprezzate nella nostra vanitosa civiltà, portata all’esagerazione ridicola della personalità. […] La  pretesa Confraternita dei Rosa-Croce non ha mai avuto un’esistenza sociale. Gli Adepti portatori del titolo sono soltanto fratelli attraverso la conoscenza ed il successo dei loro lavori. Nessun giuramento li impegna, nessuno statuto li lega tra loro, nessuna regola influenza il loro libero arbitrio, se non la disciplina ermetica liberamente accettata e volontariamente osservata.”
Attraverso l’azione occulta dei veri Rosa Croce, la Tradizione Ermetica si riaffermò e diffuse nel 17° secolo.
Nella prima metà del 1600 è rilevante la figura e l’opera di Michael Maier, che fu definito medico e alchimista rosicruciano. Egli scrisse opere importanti per l’ermetismo, quali Simboli della tavola d’oro delle dodici nazioni e Atalanta fugiens.
Quest’ultima opera presenta la tradizione ermetica e la sua operatività con un metodo che potrebbe definirsi multidisciplinare: in essa troviamo 50 ‘discorsi’, rappresentati ciascuno con un disegno, una poesia, una prosa ed un brano musicale. Così Maier presenta questa sua opera (Atalanta Fugiens – Ed. Mediterranee – 1984 – p. 28): “Ricevi dunque in un sol libro quattro specie di cose: composizioni allusive, poetiche, allegoriche; emblemi nel venereo rame incisi e di venerata grazia adorni; verità chimiche secretissime che l’intelligenza tua sonderà; infine musiche delle più rare: fa buon uso di ciò che t’è qui dato. Se l’uso sarà più intellettuale che materiale, un dì ne trarrai maggior profitto. Ma se prima opereranno i sensi, ricorda: passar dai sensi all’intelligenza non è facile come traversar una porta.” È un chiaro richiamo a tutti coloro, soffiatori, che credevano e credono che l’Alchimia fosse e sia una chimica antiquaria, madre della nostra attuale chimica.
Sempre agli inizi del 17° secolo viene pubblicato Il libro delle figure geroglifiche, attribuito a Nicolas Flamel, alchimista attorno al quale si formò una leggenda alchemica alla fine del 1400.
Nella seconda metà del 1600 compaiono personalità importanti nella trasmissione dell’ermetismo.
Nel 1667 viene pubblicata l’importante opera Ingresso aperto al chiuso palazzo del re (Introitus apertus ad occlusum regis palatium) di Ireneo Filalete. Tale scritto è attribuibile a George Starkey, che frequentò il circolo di Samuel Hartlieb, fulcro di studi ermetici post-paracelsiani, ed al quale appartenne pure lo scienziato Robert Boyle.
A tali studi si rifece anche Isaac Newton; però nessuna delle ricerche eseguite da questo studioso relativamente all’ermetismo e all’alchimia venne da lui pubblicata. I suoi manoscritti dedicati a tale ricerca ermetica sono rimasti ignorati fino alla metà del XX secolo.
Una figura importante per la trasmissione della tradizione ermetica, anche se non molto nota, è Federico Gualdi, vissuto tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700.
Tale ermetista, probabilmente di origine tedesca, visse per parecchi anni in Italia ed in particolare a Venezia. Al di là delle leggende che sorsero sulla sua figura e sulla sua età, è importante ricordare che egli, pur vivendo molto ritirato, era frequentato da aristocratici, eruditi, artisti, ecclesiastici di diversa nazionalità e circondato da una ristretta cerchia di discepoli.
Tra questi discepoli il più noto è Francesco Maria Santinelli, gentiluomo della regina Cristina di Svezia, autore della Lux Obnubilata, sotto lo pseudonimo di Fra Marcantonio Crassellame Chinese, il cui modello era proprio un’opera del Gualdi: la Philosophia Hermetica.
Nella Philosophia Hermetica il Gualdi presenta in forma di Ode l’intera Opera Ermetica, dimostrando non solo una conoscenza teorica dei principi alchimici, ma evidenziando anche un’esperienza pratica.
È pressochè certo che Federico Gualdi fece parte o addirittura fu a capo della Confraternita dell’Aurea Rosacroce. Dallo studio delle sue opere e dal resoconto della sua vita si può asserire che egli fu un vero Rosa Croce.
Francesco Maria Santinelli, discepolo del Gualdi, ebbe contatti con ambienti ermetici di Napoli alla fine del 17° secolo.
La Lux Obnubilata del Santinelli, quindi l’operatività ermetica derivata dal Gualdi, venne ripresa da Henry Theodor de Tschoudy, di origine svizzera e che viaggiò per tutta l’Europa.
Lo Tschoudy, a Napoli, venne in contatto con Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, che nel suo palazzo sito a Piazza San Domenico, nei pressi di Piazzetta Nilo, raccoglieva la Tradizione Ermetica Egizia. Va ricordato che a Napoli, proprio in quel quartiere, si era insediata nei primi secoli d.C. una colonia egizia alessandrina e sempre fu viva a Napoli questa Tradizione Ermetica.
Sembra accertato che l’operatività alchemica del Gualdi, attraverso il Santinelli, giunse per il tramite dello Tschoudy a Raimondo di Sangro e venne ad integrare gli insegnamenti presenti all’interno della cerchia ermetica egizia napoletana. Lo Tschoudy sviluppò più tardi l’insegnamento ermetico massonico del principe Raimondo di Sangro, fondando nel 1766 una Loggia di stretta osservanza ermetica, L’Etoile Flamboyante.
Agli Statuti di questa Loggia segue il Catechismo, cui è annessa un’Ode Alchemica, che ricalca completamente la Lux Obnubilatadel Santinelli, che a sua volta era pressochè identica alla Philosophia Hermetica del Gualdi.
L’importanza del principe Raimondo di Sangro nella trasmissione della Tradizione Ermetica è fondamentale per lo sviluppo dell’ermetismo soprattutto in Italia. Fu da tale nucleo ermetico egizio di Napoli, che derivarono figure quali Domenico Bocchini, Giustiniano Lebano, Leone Caetani, Pasquale de Servis, fino a giungere a Ciro Formisano, più noto come Giuliano Kremmerz.
Sempre dalla cerchia ermetica che fece capo al principe Raimondo di Sangro proviene la quasi leggendaria figura del Conte di Cagliostro.
Senza entrare nelle dispute circa la personalità del Cagliostro, sappiamo che egli soggiornò ben tre volte a Napoli ed ebbe contatto, mediante la profonda amicizia e frequentazione del Cavaliere Luigi d’Aquino, con la Loggia di Raimondo e di Vincenzo di Sangro, dalla quale trasse preziose indicazioni per la creazione del suo Rito Egizio massonico.
Egli, muovendosi per tutta Europa, cercò di diffondere le conoscenze ermetiche egizie e si presentò sempre come un terapeuta e sempre come tale fu accolto, fino a infastidire il potere politico e il potere ecclesiastico, che lo fece imprigionare fino alla morte e ne infangò l’opera pro salute populi e la memoria.
Per comprendere il valore iniziatico del Conte di Cagliostro – che si definì al termine della sua vita come Alexandro I°, G.M. e Fr. dell’Ordine Egiziano – e per rivalutare la sua opera nella linea della pura Tradizione Ermetica Egizia, si riporta dalla Memoria per il Conte di Cagliostro, accusato, contro il Procuratore Generale – S.L. – Parigi – 1786, pag. 12) quanto Cagliostro scrisse di se stesso. Tale scritto può essere letto come il Manifesto di un perfetto Ermetista. “Io non sono di nessuna epoca e di nessun luogo; al di fuori del tempo e dello spazio, il mio essere spirituale vive la sua eterna esistenza e se mi immergo nel mio pensiero rifacendo il corso degli anni, se proietto il mio spirito verso un modo di vivere lontano da colui che voi percepite, io divento colui che desidero. Partecipando coscientemente all’essere assoluto, regolo la mia azione secondo il meglio che mi circonda. Il mio nome è quello della mia funzione e io lo scelgo, così come scelgo la mia funzione, perché sono libero; il mio paese è quello dove fermo momentaneamente i miei passi. Mettete la data di ieri, se volete o, riuscendovi, quella di domani o degli anni passati, per l’orgoglio illusorio di una grandezza che non sarà forse mai la vostra. Io sono colui che è. […] Io non sono nato dalla carne, né dalla volontà dell’uomo, sono nato dallo spirito. Il mio nome, che è mio, quello che scelsi per apparire in mezzo a voi, ecco quello che reclamo. Quelli che mi sono stati dati alla mia nascita o durante la mia giovinezza, quelli per i quali fui conosciuto, sono di altri tempi e luoghi; li ho lasciati, come avrò lasciato domani dei vestiti passati di moda e ormai inutili.
Ma ecco: sono nobile e viandante, io parlo e le vostre anime attente ne riconosceranno le antiche parole, una voce che è in voi e che taceva da molto tempo risponde alla chiamata della mia; io agisco e la pace rinviene nei vostri cuori, la salute nei vostri corpi, la speranza e il coraggio nelle vostre anime. Tutti gli uomini sono miei fratelli, tutti i paesi mi sono cari, io li percorro ovunque, affinché lo Spirito possa discendere da una strada e venire verso di noi. Io non domando ai Re, di cui rispetto la potenza, che l’ospitalità sulle loro terre e, quando questa mi è accordata, passo, facendo attorno a me il più bene possibile: ma non faccio che passare. Non sono un nobile viandante? Come il vento del Sud, come la splendente luce del mezzogiorno che caratterizza la piena conoscenza delle cose e la comunione attiva con Dio, così io vado verso il Nord, verso la nebbia e il freddo, abbandonando ovunque al mio passaggio qualche parte di me stesso, spendendomi, diminuendomi in ogni fermata, ma lasciandovi un po’ di luce, un po’ di calore, fino a quando io non sia infine arrivato e stabilito al termine della mia carriera: allora la rosa fiorirà sulla croce. Io sono Cagliostro.”
Nella seconda metà del 1700 va ricordata anche la figura di Anton Joseph Pernety. Egli nacque a Roanne (Francia) nel 1716 e morì a Valenza nel Delfinato nel 1801.
Ancora molto giovane entrò nella Congregazione Benedettina di S. Mauro. Fu uno studioso e pubblicò un’abbondante produzione letteraria e scientifica. Tali doti furono apprezzate da Federico il Grande che lo volle cappellano nel castello di Sans Souci, nella biblioteca del quale castello completò le ricerche sulla Filosofia Ermetica.
Sulla Tradizione Ermetica egli pubblica tre opere magistrali:

  • Trattato dell’Opera Ermetica
  • Le Favole Egizie e Greche, svelate e riportate ad un unico fondamento
  • Dizionario Mito Ermetico

Nelle sue opere, in particolare nelle Favole Egizie e Greche, il Pernety dimostra come tutti gli Dei dei Miti classici e gli Eroi delle Favole rappresentano delle “Deità Chimiche”, Forze Vive della Natura, cioè differenti stati della Materia Unica, base della Grande Opera Ermetica. Queste Divinità sono create dalla mente dell’uomo quali simboli allegorici, o meglio analogici, atti a tramandare, sotto il velo del segreto, l’insegnamento della Tradizione Ermetica.
Nel diciannovesimo secolo, troviamo l’ermetismo diffuso e in parte anche volgarizzato all’interno di molte Scuole di occultismo e all’interno di strutture massoniche e similari. Se da un lato esso si mantiene puro nella sua essenza, purtroppo la diffusione di parti di esso male interpretate o fraintese, per ignoranza o volutamente, hanno portato ad una profonda deviazione dei suoi principi puri, sacrali e luminosi.
È Giuliano Kremmerz che tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, pur nutrendosi dalla fonte egizia della tradizione napoletana del di Sangro, in quanto discepolo di Pasquale de Servis, Izar, cerca di dare nuovo impulso alla Tradizione Ermetica, cercando di liberarla da cerchie settarie e da vecchie “cancrenose carcasse dei templi”, affratellando gli uomini di buona volontà attorno ad un ideale di Luce ed istituendo, nella sua magistrale opera La Porta Ermetica, la Scuola Integrale Italica.
L’opera di Kremmerz dimostra come la Tradizione Ermetica, sempre unica nel suo nucleo, debba periodicamente rinnovare la sua veste esteriore, per non diventare una cristallizzazione sterile, ma per poter lasciar scorrere la propria inesauribile linfa vitale.
La Scuola Integrale Italica, pur con tutte le deformazioni tipiche di qualunque aggregato spazio-temporale, è sopravissuta fino ad oggi ed ancora riesce a trasmettere la pura Tradizione Ermetica.
Agli inizi del XX secolo comparvero due opere a firma di Fulcanelli: Il Mistero delle Cattedrali e Le Dimore Filosofali, presentate da Eugene Canseliet.
In queste due opere il misterioso Adepto Fulcanelli espone in modo esemplare sia la Filosofia Ermetica sia la Pratica Alchemica.
Sono opere di grande valore per lo studioso di Ermetismo, in quanto in esse si rileva come chi scrive sia non solo uno studioso ma un praticante dell’Arte.
L’identità del misterioso Adepto Fulcanelli non è mai stata svelata con certezza, ma studi recenti fanno attribuire quelle due opere fondamentali al gruppo di studiosi, che facevano capo a Renè Adolf Schwaller de Lubicz, che si presentava anche con il suo nome iniziatico AOR.
 R.A. Schwaller de Lubicz fu fin da giovane uno spirito inquieto, spinto verso la ricerca dell’ignoto, dotato di intuizioni profonde.
Fonda un gruppo: “I Veglianti”. Riunisce artisti e studiosi. L’articolo II del programma di questo gruppo dice: “Propagare con la parola e con l’esempio il senso del dovere, l’amore per la perfezione nel lavoro e in tutti gli atti della vita.” Egli approfondisce gli insegnamenti dell’Ermetismo, studia ed esperimenta.
È da questo gruppo di studiosi della Scienza Tradizionale, che probabilmente nascono le opere del misterioso Fulcanelli.
Schwaller de Lubicz è comunque un solitario, un escluso dalla massa. Sente che la vera conoscenza si può trovare solo nel Silenzio.
Assieme alla sua compagna predestinata, Isha, egli si ritira per un lungo periodo a Palma di Maiorca, in un antico ospizio dove visse Raimondo Lullo. Qui, in solitudine e silenzio, studia e medita. È allora pronto per partire per l’Egitto; si stabilisce per 15 anni a Luxor, dove studia, medita, comprende il senso profondo della Sacra Scienza Ermetica Egizia. Torna poi in Francia, dove compone la sua opera principale: Il Tempio dell’Uomo.
Egli scrisse delle opere fondamentali per la conoscenza della Tradizione. Nei suoi scritti la Scienza Ermetica viene riportata alla sua origine egizia e soprattutto ai suoi puri ed incorruttibili principi di base.
Egli scrive in La Teocrazia Faraonica, cit., p.14 e segg.: “Rari sono gli uomini che sono riusciti a penetrare questo segreto del principio, ma tutti coloro che l’hanno potuto fare hanno allora, per dovere spirituale, lasciato una testimonianza della esistenza di questa scienza, descrivendo attraverso enigmi o allegorie – ma soprattutto attraverso delle considerazioni teologiche – il processo di lavoro  e le fasi del divenire, senza tuttavia rivelarne il segreto fondamentale.
È in base ai testi ermetici – tanto del nostro Occidente che degli antichi Saggi – che è oggi possibile farsi una idea sufficientemente chiara della generazione di quella che viene chiamata l’Opera, al fine di compararla agli insegnamenti sacri e soprattutto a quello del Tempio faraonico. […] È evidente che la trasmutazione dimostrata dalla scienza non ha rapporto alcuno con i principi teologici; resta comunque il fatto, oggi per tutti accertato, che esiste una origine energetica comune a tutti i corpi, il che ci porta più vicini alle affermazioni metafisiche relative al principio delle cose.
Quanto al concetto della trasmutazione attraverso una via di ‘genesi’, moltissimi scritti – tanto dell’Egitto faraonico quanto del transitorio periodo greco-romano come pure dei più recenti anni europei – confermano questa possibilità. Tutti questi testi sono fondati sulla certezza, concordemente con tutte le teologie, che è il Verbo divino, lo Spirito Santo, che solo può animare la materia, e che in ciò si nasconde il segreto del principio.
È dunque tra queste due concezioni che si colloca il divorzio tra due mentalità inconciliabili, poiché una delle due parte, per la variazione dei tipi, da una energia cinetica immanente alla materia, mentre l’altra si richiama ad una Energia cosmica indefinita. […] Generare la ‘Grande Opera’ vuol dire generare in noi la liberazione della nostra condizione sofferente e mortale e, per converso, ricercare questa liberazione vuol dire anche realizzare la ‘Grande Opera’.”

Questa breve storia della Tradizione Ermetica ha volutamente toccato solo alcune delle figure importanti per la sua trasmissione nelle epoche.
Ma se questa è a grandi linee la diffusione e trasmissione della parte storico-culturale dell’Ermetismo, il vero significato vitale di esso si è trasmesso anche e soprattutto attraverso ambienti, che hanno saputo conservare e tramandare attraverso l’esempio l’atteggiamento dello studioso prima e dell’operatore poi, necessario a comprendere il significato e l’operatività racchiusa negli insegnamenti ermetici, che rimangono immutati nelle epoche e nei luoghi, perché di carattere universale.

FDA