Il risveglio

In numerosi testi della Tradizione Iniziatica leggiamo spesso della condizione dell’individuo umano: crede di essere in uno stato di veglia e in realtà si trova in una condizione simile a una forma di ipnosi. Egli si illude di vedere la realtà quale essa è, e invece la percepisce da addormentato.
Il lavoro, lo studio e le pratiche, che ogni percorso iniziatico mette a disposizione di chi seriamente opera, devono consentire il ‘risveglio’.
Ma è utile fare alcune riflessioni in proposito, perché il più delle volte, all’inizio del lavoro iniziatico ma anche più avanti nel percorso, ci si crea un’immagine illusoria e falsa del significato di ‘risveglio’. Si continua a pensare a cosa possa essere il risveglio da addormentati.
Ci si ‘immagina’ e ci si ‘illude’ che lo svegliarsi sia un fenomeno piacevole, facile e che permette immediatamente di creare in sé uno stato di gioia tale da  sentirsi leggeri come un angelo del cielo, di percepire la bellezza idilliaca della Natura.
In realtà questa è una pia illusione, una falsa visione immaginativa, generata ancora una volta dal sonno,  in cui si trova normalmente immerso l’individuo umano.
Svegliarsi infatti significa vedere la Natura nel suo funzionamento profondo e nel suo inestinguibile Moto, significa percepire senza alcuna illusione il ruolo che riveste l’individuo umano - e l’umanità nel suo complesso - all’interno di questo inesauribile meccanismo di reciproco mantenimento. Tutto ciò non ha nulla di romantico o idilliaco, ma è come osservare - messo a nudo - l’interno di un corpo umano e il funzionamento meraviglioso e complesso che avviene in esso.
Cerchiamo di sentire con tutto il nostro essere l’impressione che provocherebbe il poter percepire e vedere in modo concreto il lavorìo interno del nostro organismo.
Svegliarsi è vedere la perfezione della Natura, nella sua crudezza, come quando si assiste alla lotta tra animali per il nutrimento e per la sopravvivenza.
Percepire veramente, con tutto il proprio essere e non solo con l’intelletto, questa lotta e questa brama per il reciproco mantenimento, all’interno del quale ogni individualità serve al tutto,  non può non creare una situazione di sgomento, dalla quale quasi automaticamente ci si allontana, lasciandoci prendere nuovamente dal sonno tranquillizzante.
Per l’individuo umano non è certo piacevole veder distrutta la propria falsa immagine che si è creato, gonfiata dall’importanza personale e dall’ipertrofia dei propri ego.
Se per un momento riusciamo, grazie al lavoro continuo su di sé, a sospendere lo stato di sonno che ci attanaglia, percepiamo qualcosa di terribilmente grandioso, un meccanismo perfetto di cui noi stessi siamo una componente; ecco allora che la nostra personalità svanisce, ci sentiamo un nulla di fronte a un abisso, trasportati da una corrente che vive attraverso di noi. Non siamo padroni della Vita, ma la Vita ci usa per riproporsi senza fine.
Ci sentiamo impotenti, di fronte alla forza di questa corrente, e ci rendiamo conto che la nostra individualità, le nostre faccende, le nostre relazioni, alle quale attribuiamo tanta importanza, in realtà sono solo una minima e soprattutto irrilevante componente di questo grande Moto di reciproco mantenimento.
Scrive Abraxa in La Conoscenza delle AcqueIntroduzione alla Magia – Gruppo di Ur – I° Vol. – p. 21 e segg.: “La vita elementare degli esseri tutti, senza eccezione, è retta dal profondo da una Forza primordiale. La natura di questa Forza è brama: un appetito che non ha mai soddisfazione un abbattersi che non conosce termine, irresistibile necessità e cieco, selvaggio volere.
Divenire, trasformazione disordinata caotica, incoercibile flusso, generazione-distruzione, attrazione-repulsione, terrore-desiderio, formazione-dissolvimento composte in una mescolanza ignea senza riposo sono l’essenza di questa primordiale cosmica natura. Come una meraviglia e come uno spavento ne parlarono i Saggi.
[…] La razza degli uomini non la conosce. Una provvidenziale legge naturale la cela alla coscienza loro con lo spettacolo-illusione dei fenomeni materiali, della realtà solida, senza la quale nessuna requie, nessuna tranquillità per la loro vita. E vuole, la stessa legge, che questo velo di ignoranza sia rimosso, l’occhio del Sapere dischiuso solamente nel punto della crescenza e della presenza di una forza forte abbastanza per sopportarne la visione.
[Cerchiamo di percepire] la sensazione di tale forza che si allarga a riprendere ‘me’ e ‘non-me’, a pervadere tutta la natura, a sostanziare il tempo, a trasportare miriadi di esseri come se fossero ebbri o ipnotizzati, riaffermandosi in mille forme, irresistibile, selvaggia, priva di limiti, arsa da una eterna insufficienza e privazione. ‘Ciò è’ – così pensa. Se questo sapere a te ti riconduce e, ghiacciato da gelo mortale, senti l’abisso aperto: ‘In ciò io sono’ – tu hai conseguito la Conoscenza delle Acque”.
A questo punto, se non è stato convenientemente preparato a questo primo risveglio, l’individuo può perdere qualunque interesse per tutto ciò che lo circonda: tutto perde importanza ed egli potrebbe lasciarsi andare alla deriva, lasciarsi semplicemente vivere o addirittura desiderare di non vivere, perché la vita sembra non aver più alcun senso o significato.
È per questo che la Natura stessa crea tale ‘meccanismo di sonno’; l’individuo umano, infatti, se non è pronto a questa visione magnifica e terribile, potrebbe rifiutare la vita stessa, non accettando e non riuscendo a sostenere la schiavitù all’interno di questo Moto.
Può essere questo uno dei significati del Velo di Iside, che non può essere sollevato da nessun mortale.
Nessun mortale è infatti in grado di osservare da sveglio la realtà, se non ha prima affrontato, con un continuo e rigoroso lavoro su di sé, la morte della propria falsa ed illusoria personalità, basata sulle diverse forme di ego, che si sono formate attorno alla propria essenza.
Quindi svegliarsi, anche per un breve momento, è un’esperienza alla quale bisogna essere preparati e non è certo piacevole: è il prendere coscienza con tutto il proprio essere dello stato di schiavitù in cui ci troviamo come esseri umani, stato nel quale ci muoviamo come individui addormentati sognando  ciò che in realtà non siamo.
Ma questa presa di coscienza della propria meccanicità all’interno del Moto della Natura stessa, questo ‘risveglio’, è la sola cosa che può servirci da stimolo per lavorare intensamente su di sé.  Liberarsi da questa schiavitù è possibile per l’individuo umano, se scopre quella parte profonda nella propria interiorità, che può osservare immobile questo Moto.
È possibile, seguendo le indicazioni che la Tradizione ha trasmesso attraverso i tempi e i luoghi, “creare qualcosa di fermo, di impassibile, di immortale, tratto in salvo, vivente e respirante fuori delle ‘Acque’, sussistente fuori delle ‘Acque’, libero.” [op. cit.].
È ritrovare in sé quel punto centrale, che sta all’interno del cerchio in eterno movimento: creare in se stessi il simbolo della solarità.

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