Saturno e le chimere

Così Saturno vince su ogni cosa.
Sublime costruttore d’ombre, delizia dei narratori di leggende e meraviglie che forse mai vi furono, e regni grandiosi che forse mai verranno.
Gesta eroiche rimandate a domani. Stati di libertà e beatitudine sognati per domani.
Libri accumulati, lasciati a metà o mai letti. Esercizi e pratiche da fare domani. Qualche salmo mormorato nella noia mattutina… e intanto non sei che un giorno più vecchio.
Dov’è dunque quella fiamma che credevi ardesse in te?

Cos’è questo fantomatico istante presente, a cosa dovrei prestare attenzione? Dov’è mai questa neutralità di cui tutti discorrono e nessuno coglie, fiore all’occhiello di colui che affronta le battaglie della Via e che è sveglio, in cammino lungo il monte impervio?
Come può immaginare l’odore di quel fiore l’uomo che crede ancora di avere necessità irrinunciabili e la negritudine che è potenza di rinascita la chiama disgrazia?
Che ne sa quest’uomo del nucleo antico che giace nel suo profondo, dormiente?

Oltre il velo della coscienza quotidiana alberga una diversa consapevolezza. Giungervi non è una strada aperta a tutti, poiché l’unica guida a questo lungo viaggio emerge nel silenzio della mente, delle emozioni e del corpo. Ma nessuno ha tempo da sprecare col silenzio: l’irrequietezza, il continuo desiderio di non fermarsi, il continuo pensare per tenere in piedi la propria idea del mondo e di se stessi è un richiamo irrefrenabile. Correndo verso nuove mete, riproducendo i medesimi, vecchi schemi di comportamento, esaurendo la propria energia, non c’è tempo per altro. Se solo ci si fermasse a guardare la propria esistenza, si vedrebbe ciclicamente ripetersi la stessa pantomima: illusione, abbandono, fuga, oblio e nuova illusione.

Là, dove la ragione si ferma e si comprende con la totalità del proprio essere, senza bisogno di spiegazioni, alberga il nucleo dell’essere umano, sconosciuto ai più durante tutta una vita. L’incontro con la parte mancante di sé non produce esaltazione, paura o subitanee illuminazioni: questi non sono che specchietti per le allodole. Chiunque si senta lacerato da una nostalgia nobile, chiunque senta di ricordare qualcosa di inesprimibile, chiunque ami - come non ha mai amato - qualcosa che su questa terra non ha mai conosciuto, è un candidato al lungo viaggio per il completamento del proprio essere.
Iniziazione, dal greco teléin, significa completare. Latinamente intesa, l’etimologia denota un inizio. Nessuna delle due etimologie mente: agganciare quel nucleo colma un vuoto e allo stesso tempo il passato non ha più alcun significato, perché ciò che si è stati cessa d’avere importanza. Un essere piccolo, chiuso in se stesso e assorbito dalle proprie pretese s’è fatto trascinare nel turbine dell’esistenza, e non c’è nulla da dire sulle sue azioni, buone o cattive che siano state.
Il capo si volta una volta per sempre. Non c’è alcun modo di tornare indietro, come un pulcino non ha modo di ricomporre il guscio che ha rotto.
Una duplice visione si offre allo sguardo, in cui carne e spirito coesistono, e risonanze sopite splendono sotto una nuova e più chiara luce. Il tempo pare arrotolarsi su se stesso mentre il volto guarda dritto negli occhi il futuro che viene verso di lui, perdendo l’abitudine di fissare il passato mentre si allontana e il cupo vortice della terra non può più causare dolore.
Così la luce filtra attraverso il prisma dell’essere, che rimane identico a se stesso pur producendo infinite sfumature nello spettro dei sette colori.
Non siamo che acqua stagnante che un giorno ha deciso di divenire torrente. Per farlo ha dovuto scavarsi una via nella roccia, produrre un movimento in ciò che prima era inerte, ed il moto stesso ha purificato il fango che prima pareva l’unica condizione di esistenza. Viaggiando attraverso la vegetazione e attraverso la strada che fu in grado di conquistarsi, l’acqua un giorno seppe di essere pura, quando uccelli e animali vennero a lei per abbeverarsi.
Come l’acqua, l’uomo in cammino rimane identico a se stesso eppure può assumere ogni forma.
Non lo vedrete mai esaurire e spremere le persone fino a ridurle a nulla: egli sa che il bene più prezioso dell’essere è la sua libertà. Non lo vedrete mai immobile e abitudinario, intento a lagnarsi del suo triste destino: egli sa di non essere mai solo.
Così come la fine della palude viene, quando il fango prenda inesorabilmente il sopravvento sull’acqua, così anche il fiume ha la sua fine. La differenza è che il fiume corre incontro alla sua fine con serenità, attraverso i paesaggi più vari, accogliendo affluenti e forme di vita, dissetando altri esseri, gorgogliando e vincendo con la sua forza le rocce più dure. La sua fine sarà profondamente diversa: un’immensità sarà lì ad accoglierlo e ad aggiungere alle sue acque il sale, simbolo della sapienza.
(Com’è perfetta la natura per le nostre parabole, non trovate?)

Il tempo trionferà, infine, su entrambi.
La Falce attenderà il passo stanco, quando il piede non avrà più forza per correre. L’essere antico, nella sua totalità, si desterà dal torpore quando i sensi e la personalità giaceranno inerti. E chiederà: hai mai scelto? Hai mai vissuto? Sei soddisfatto di te stesso?

 

Iehuiah