“Corrente istintiva” e “lato sinistro”: un confronto

Una delle esperienze più affascinanti, nel percorso pratico di un ermetista, è quella di iniziare a comprendere i fascicoli e gli scritti degli autori dal punto di vista dell’esperienza personale.
Questo processo di comprensione presuppone l’accesso a un altro tipo di mente, nota come “mente ermetica”, strettamente connessa all’emersione dell’uomo antico: “allora solamente il noviziato ermetico inizia a dare i suoi frutti, quando la coscienza è libera di valutare una doppia corrente:
1) la sensoria o sensitiva che ci arriva dalla periferia;
2) la istintiva, che comincia a denudare le tendenze dell’uomo antico in noi.
Ridotta alla percezione vera e reale la coscienza della prima corrente, quella che ci prepara le più inaspettate sorprese è la seconda. Il vero personaggio storico, che è in ogni uomo, non dimentica e non tace neanche negli esseri più idioti; rappresentando la coscienza oscura di ognuno che viene sulla terra, l’entità antica si presenta in tutte le crisi violentemente, con manifestazioni impulsive, e nella vita quotidiana con manifestazioni strettamente e tacitamente istintive […] Solamente quando la purificazione della coscienza propria è un fatto compiuto, il laboratorio di riserva o seconda volontà comincia, sulla coscienza moderna, a riprodurre le immagini stereotipate delle vite vissute, fino in taluni a raggiungere la possanza e l’onniveggenza di un demone che tutto sa, tutto conosce, tutto preannunzia, tutto può” (La scienza dei Magi, vol. II, p. 160).
Mille volte Kremm-erz ammonisce il ricercatore sull’importanza della pratica per la creazione di questo “Hermes” – che si nutre e si sviluppa a partire dalla conoscenza dell’uomo storico, o mare istintivo e atavico in noi –, sull’assoluta inutilità di una ricerca meramente intellettuale o di un cammino superficialmente ritualistico (il quale non è altro che un cammino religioso sotto altre vesti, attitudine che fa rientrare dalla finestra ciò che è stato fatto uscire dalla porta delle scuole iniziatiche).
Per accedere a questo stato è però necessario spogliarsi come Inanna nella sua discesa agli inferi, perché “l’ermetismo non si schiude che alle coscienze già spogliate da tutti i fattori ottenebranti, rette da una morale pura, non velate da nessuna passione, neanche dalla preconcezione della propria infallibilità. Tutta la chiave maestra del concetto educativo della propria personalità, è appunto in questa purificazione della coscienza dalla nebbia della percezione umana”.

È in questo processo di spoliazione che s’impara a distinguere la suggestione dalla realtà, che si trovano i propri veri Fratelli, che si sbatte il naso (un naso da pugili, ormai!) sui propri limiti personali e che si ridimensiona notevolmente l’approccio al Sacro e all’Empireo: quando svuotiamo la coppa dalle illusioni, ciò che brilla al suo interno è semplicemente la realtà.

È da lì, dalla realtà, che principia il percorso iniziatico propriamente detto, ed è da questa asciuttezza e assenza d’inutili suggestioni che il ricercatore, nudo e mondo, diviene mago, in grado di portare a consapevolezza ciò che accade nel proprio “lato sinistro”, di integrarlo nella propria “mente ermetica” e di entrare nella dimensione rarefatta dove vivono i Numi.
V’è un autore, a volte aspramente criticato, che sulla descrizione di questo stato dell’essere ha fondato l’intera sua opera, preziosissima per chi abbia iniziato ad accedere a un diverso grado di consapevolezza e sia in grado di leggere, cum grano salis, tra le righe dei suoi romanzi.
Egli scrive che «Tutta l’organizzazione dell’insegnamento di don Juan si basava sull’idea che l’uomo ha due tipi di consapevolezza. Li chiamava lato destro e lato sinistro e di conseguenza differenziava i propri insegnamenti in lezioni per il lato destro e lezioni per il lato sinistro. Descriveva il primo come lo stato normale per tutti noi, ovvero lo stato di consapevolezza necessario nella vita di ogni giorno. Diceva che il secondo stava per tutto quanto non era normale, il lato misterioso dell’uomo, lo stato di consapevolezza necessario a esercitare la funzione di sciamano o veggente» (Carlos Castaneda, Il Fuoco dal profondo).
In altre parole, gli insegnamenti di Don Juan riguardavano i due lati dell’essere umano, che nel pensiero kremmerziano ritroviamo sotto forma delle due correnti: “la corrente sensoria che ci arriva dalla periferia” (lato destro) e “la corrente istintiva, che comincia a denudare le tendenze dell’uomo antico in noi” (lato sinistro).
Si badi: “comincia a denudare”, il che vuol dire che la corrente istintiva è il preludio dell’uomo storico ma non coincide con esso.
A ben guardare, questi “due lati” dell’essere umano possiamo rinvenirli negli stessi emisferi cerebrali: l’emisfero sinistro (collegato al lato destro del corpo) lavora dividendo in parti, analizza e ordina, presiede alle funzioni prettamente logico-analitiche; è il luogo dell’intelligenza matematica, del linguaggio verbale. L’emisfero destro (collegato al lato sinistro del corpo) mette in relazione e lavora sulla totalità, pensa per immagini, sintetizza; è il luogo dell’intuizione e dell’emozione.
Fra questi due emisferi, un corpo calloso viene attraversato da un numero di collegamenti più o meno ampio, a seconda che l’individuo abbia integrato queste due parti di sé o sia, al contrario, dissociato (una mancata comunicazione tra i due emisferi si è riscontrata, ad esempio, negli schizofrenici).
Nel nostro stesso cervello, quindi, è impressa la storia di questa dualità, che ovviamente si estende ben oltre la fotografia cerebrale appena delineata: come più volte abbiamo notato, la società tende a negare tutto ciò che rientra nel castanediano “lato sinistro”, a partire proprio da quella che potremmo chiamare la punta dell’iceberg, ossia le emozioni. Le nostre università sono piene di professori che impartiscono insegnamenti lineari per mezzo del linguaggio; non esistono, invece, professori d’intuizione, di emozioni o di pensiero immaginativo: nessuno ci insegna a prenderci cura delle maree che costituiscono il mondo degli istinti e degli impulsi.
Ciò che ci si richiede, fin da bambini, è di reprimere la grandezza delle emozioni – non importa se “buone” o “cattive”: la manifestazione di una grande gioia è deplorata tanto quanto la manifestazione di una grande rabbia – con l’ausilio di una mente ben strutturata.
Certo, una società aperta alle proprie emozioni sarebbe difficilmente gestibile e governabile, ma l’errore del mondo occidentale è stato quello di gettare il bambino insieme all’acqua sporca.
Infatti, in quel lato atrofizzato di noi stessi – come abbiamo visto nella nostra “fotografia cerebrale” – non risiede soltanto l’emotività, ma altre funzioni importantissime, quali il pensiero sintetico, l’intuizione e il linguaggio non verbale.
Senza volgere subito il nostro pensiero all’io antico come detentore dei ricordi delle vite passate, soffermiamoci un istante su questo: quanto posso disporre di me stesso, se reprimo la metà di me stesso? Perché Kremmerz parla della corrente istintiva come preludio all’“uomo antico”?
Quello che modernamente si chiama nell’uomo corpo astrale, fu detto e indicato da simboli che si potrebbero tradurre “uomo lunare o corpo lunare”: un essere o parte dell’essere umano che stabilisce il limite tra la coscienza presente e l’entità storica reincarnata; in questo limite l’uomo storico interiore manifesta la sua tendenza sotto la manifestazione istintiva, e l’uomo moderno esteriore ripone le conquiste di conoscenza sperimentale nuova. Questa zona intermedia corrisponderebbe in molti punti a un deposito della memoria più recente e a un laboratorio sintetico per la trasformazione delle sensazioni esteriori e i giudizi dell’uomo contemporaneo a materiali di erudizione che vanno ad assimilarsi alla entità storica occulta […]
a) Memoria in atto: uomo esteriore moderno;
b) memoria in collaborazione: limite della memoria cosciente;
c) memoria in riserva: uomo interiore antico e storico […]
a) la coscienza della sensazione e nell’atto della nostra volontà pensante;
b) stato di coscienza latente, a cui la nostra facoltà di risveglio può attingere le idee immesse;
c) la coscienza inesplorabile che, pur conservandosi tale, dirige gli istinti e le tendenze nella nostra vita moderna ed esplicativa”” (La scienza dei Magi, vol. II, p. 149-150).
Nel 1983, fu pubblicato per la prima volta in Italia Il dono dell’Aquila, uno dei romanzi più controversi di Castaneda: nel libro, lo stregone racconta del riaffiorare di ricordi appartenenti all’epoca del suo addestramento con Don Juan e relativi a fatti da lui completamente obliati fino a quel momento.
Nel panorama esoterico occidentale, tanto affezionato alle critiche da salotto, il romanzo fece scoppiare una vera e propria bomba nei confronti dell’autore. Ciò che i detrattori di Castaneda non compresero – e non comprendono ancor oggi – è che tali memorie non dovrebbero affatto essere intese come presunte “falsità”, messe insieme dall’autore al solo scopo di vendere altri libri dopo avere esaurito la vicenda dell’addestramento con Don Juan: letto con “mente ermetica”, il romanzo tratta in modo puntuale e rigoroso il processo di risveglio del “lato sinistro” del protagonista, processo nel quale ogni praticante può agevolmente riconoscere la misteriosa emersione di alcune funzioni mentali (umanissime) che precedono l’emersione del suo “uomo antico” e che lo mettono in comunicazione con una porzione di realtà fino ad allora sconosciuta, ma estesa almeno quanto il mondo visibile e percepibile soltanto da una mente intuitiva, istintiva, sintetica.
A partire dal capitolo sulla perdita della forma umana, Il dono dell’Aquila “ri-vela” con maestria e sottigliezza l’emersione di memorie che appartengono al nostro “Altro”, adoperando la forma del romanzo come veicolo per raccontare una storia che si dipana in un mondo posto oltre “il muro di nebbia” della percezione, al di là del quale si trova un immenso paesaggio fatto di una sostanza simile allo zolfo, nel quale la coscienza ordinaria e il corpo non possono sopravvivere.
Tant’è che, nella sua prima incursione oltre il “muro di nebbia”, Carlos si trova in pericolo di vita e dice che “il mio corpo, o quella sagoma che consideravo tale, si calmò e si abbandonò alla morte. Appena lasciai che il terrore m’invadesse, o forse mi lasciasse, sentii e vidi un vapore tenue – una chiazza biancastra contro lo sfondo giallo zolfo – che usciva dal mio corpo”.
L’ingresso nella totalità del “lato sinistro” di sé per accedere al mondo posto oltre il muro di nebbia coincide con il crollo di un’idea del mondo che a fatica la nostra mente razionale tiene insieme, ogni giorno, tentando di chiudere fuori dalla porta tutto ciò che non combacia perfettamente con essa.
Così, a volte pensiamo e desideriamo intensamente di voler incontrare una persona; poi, quando realmente la troviamo per la strada, e anche lei dice di aver pensato a noi e di aver desiderato d’incontrarci, liquidiamo il tutto nella frase: “che coincidenza!”.
E se di coincidenza non si trattasse, e una parte di noi fosse perfettamente a conoscenza del come e del perché questi fatti si producono? Se in noi risiedessero infinite memorie di accadimenti di capitale importanza per il “lato sinistro”, caduti nel dimenticatoio?
I protagonisti del racconto tentano, poi, di tirare le fila nella conoscenza di se stessi, percependosi come “incompleti” finché non saranno in grado di integrare “l’altro Io” e la sua esperienza dell’ignoto nella sfera della loro consapevolezza.
Nel processo di emersione dell’Altro, i protagonisti rammentano di aver vissuto, alcune volte, in uno stato di consapevolezza intensa, nel quale tutto si muove in “economia e velocità: “tutto quello che riuscivo a dire era che sul lato sinistro potevo afferrare il significato delle cose con precisione e immediatezza. Ogni genere di attività era scevro da preliminari e presentazioni. Agivo e riposavo; avanzavo e indietreggiavo senza alcuno di quei processi mentali che mi sono usuali. La Gorda e io intendevamo questo come maggiore velocità” (p. 169).
Ancora, Castaneda continua nella descrizione: “Ci fu chiaro allora che in quegli stati di intensa percezione avevamo sentito ogni cosa in blocco, una massa voluminosa di particolari inestricabili. Questa capacità di percepire tutto in una volta la chiamavamo intensità. Per anni ci era stato impossibile esaminare le singole costituenti di questi blocchi di esperienza; non eravamo stati in grado di riunire queste parti in una sequenza che avesse senso per la nostra mente. E poiché eravamo incapaci di tale sintesi, non potevamo ricordare. […] Il compito di ricordare era quindi più propriamente quello di riunire il nostro lato sinistro e il destro, di conciliare queste due forme distinte di percezione in un tutto unico” (p. 169).
Parimenti, nella sua opera, Kremmerz è molto chiaro quando parla dell’intelligenza ermetica come “coscienza integrata”, dal momento che questo concetto presuppone l’unione delle due correnti – quella sensoria e quella istintiva – in un unico veicolo, integrato, atto a far risplendere nell’uomo la totalità delle sue facoltà.
Obiettivo laico, umano e accessibile a tutti, le cui potenzialità si colgono solo quando si pensi che lo strumento di cui si avvale Hermes è un Caduceo che, pacificate le due correnti, diviene simbolo della Medicina Universale, che costituisce il secondo stadio dell’iniziatura ermetica, ossia l’uso del veicolo così creato per agire coscientemente – e senza alcun pericolo – nelle dimensioni poste “oltre il muro di nebbia”, dimensioni che costantemente si muovono innanzi alla nostra percezione atrofizzata.
Il sogno grande del nostro fondatore, che più volte i suoi successori hanno ripreso e che oggi, a nostra volta, riprendiamo e sposiamo interamente, era quello di una comunione fra individui risvegliati (la “scuola nuovissima” di cui alla Porta Ermetica) che operassero pro salute populi, intendendosi con ciò ben altro che non la sola azione terapeutica della Catena Miriamica.
Questo ideale si situava – e si situa tutt’oggi – su un piano ben più elevato delle vicissitudini materiali delle “carcasse cancrenose dei templi” delle quali Kremmerz stesso fece parte, per poi rivolgere all’umanità tutta il richiamo all’Opera intesa nella sua perfezione e nudità, attirando su di sé, similmente a un novello Enki, non poche critiche da parte del fratello Enlil (da sempre, poco amante della razza umana).
A questo piano sottile, il ricercatore spoglio avrebbe potuto accedere tramite un vero e proprio “addestramento” atto a pacificare le due correnti, risvegliare il nucleo profondo del proprio essere per poi porlo in risonanza con l’Universo sottile che ci circonda… senza mai dimenticare che non esiste un luogo migliore del deserto per osservare le stelle.

Iehuiah