La Prima Domanda
Il richiamo del sentiero non è in  fondo così diverso da un senso di predestinazione, che nasce spontaneamente da  una parte ignota dell’essere. Ai primi passi, ai primi incontri, ai primi testi  che cadono sotto gli occhi, si attribuisce un significato magico. Ancora non si  è in grado di razionalizzare tutto quello che sta accadendo, dolcemente  abbandonandosi al fluire degli eventi che si susseguono e, se tutto ciò porterà  in un circolo ermetico, la prima domanda che verrà posta avrà un effetto  spiazzante.
  Un giorno si busserà alla porta  di un Tempio - così, almeno, si crede - e si incontrerà qualcuno che non  rispecchia le aspettative sul “Maestro”: si troverà una persona comune, in  abiti comuni, senza orpelli né segni distintivi. La stanza è spoglia, non vi  sono candelabri o tabernacoli, e lui - o lei - chiederà semplicemente: “che  cosa stai cercando?”.
 Si farà strada allora il dubbio di essere nel posto sbagliato e la magia, di fronte a una domanda semplice e  senza risposta, vacillerà. I filosofi risponderanno “la conoscenza”, i mistici  risponderanno “l’Uno che è in me”, i superbi risponderanno “l’illuminazione”.  Tutti saranno poco convinti della risposta vaga che daranno e non capiranno che  è stata appena donata loro una domanda nuova, alla quale non esiste una  risposta precostituita, né una che possa essere data su due piedi.
  Tergiverso, se me lo permettete, sul noviziato e sui numerosi riti che questo comporta. Non li ometto perché abbiano poca importanza, ma semplicemente perché voglio parlare d’altro: verrà  un giorno in cui la fede crollerà. Per lungo tempo si può ignorare che le  certezze mistiche si stanno offuscando e per lungo tempo si potranno negare la  rabbia e la frustrazione nei confronti della pratica: d’altra parte, anche  esternandole, ci sarà sempre qualcuno a dirci di continuare a praticare, per  spingerci a forgiare la volontà al di là della fede, al di là dei dubbi e delle  convinzioni.
  Ma verrà un giorno in cui quella volontà sarà formata e, pur continuando nella pratica ritualistica, si scoprirà che la vera Via è qualcosa di diverso.
  Si aprirà una nuova porta.
  Non ci sarà più il misticismo a sospingere  i passi in avanti, non basterà più un obiettivo vago a destare gli entusiasmi  animici. 
  Qualcosa, con la maturazione  della coscienza volitiva, muta per sempre.
  Forse, a questo punto, ci si  spingerà verso la ricerca di qualcosa di oggettivo e scientifico, verso un  sapere che possa rispondere alle esigenze umane, perché si inizia a sentire la  necessità di mettere un punto fermo sul proprio cammino e di decretare, anche  con la conoscenza mentale, un certo grado evolutivo.
  Si consumeranno tomi di libri e,  se si è abbastanza sciocchi come chi scrive, si studieranno le lingue morte e  ci si perderà in lunghe meditazioni sugli scritti sumeri o sulla natura degli  astri, spingendosi lontani nel tempo e nello spazio, afferrando intuizioni sul  passato, sul futuro e sulla natura dell’universo visibile.
  Ma anche questa sete di sapere  crollerà, e si scoprirà che la Via è qualcosa di diverso.
  Si scoprirà che quella prima  domanda, posta tanti anni prima alla soglia del Tempio da una persona comune -  che nel frattempo avremo ridimensionato, se non rinnegato - era di vitale  importanza.
  Si scoprirà di avere nel  frattempo preparato la propria mente e tutto il proprio essere a porsi domande  nuove.
  Domande nuove, per aprire strade  nuove.
  Specialmente,  domande poste da una mente diversa da quella ordinaria, che possono essere  concepite solo guardando il mondo da un altro punto di vista. 
  Allora,  tutto quello che credevamo avesse importanza diventa la siepe su cui fissavamo  lo sguardo, senza scorgere il campo che c’è al di là. Infinite possibilità si  aprono e, se dapprima ci si sente spauriti e senza certezze, subentra poi una  strana tranquillità mentre si passeggia meravigliati nel “giardino dell’Eden”,  cercando di dare un nome a ciò che si vede.
  Il primo passo sul vero sentiero,  in qualunque momento si decida di compierlo realmente, consiste nel lasciare  che il dubbio sulle proprie presunte certezze si esprima liberamente.
  Questo dubbio esiste in alcuni -  o molti - uomini e, se non viene espresso, diventa un forma di rabbia verso gli  altri esseri, la società e il mondo, che semplicemente suggeriscono una certa  visione “condivisa” delle cose, a volte suggestionano con piccoli mezzi mentali  o di marketing, ma certamente non possono imporre nulla a una mente libera.
  Questo dubbio deve essere  conosciuto nella sua più intima essenza, perché dietro di lui vi sono molte  domande, a volte vi sono ferite e altre volte, più semplicemente, un vuoto che  desidera riempirsi.
  Il dubbio, l’indignazione, le  false certezze e la rabbia non sono altro - ma lo sapete già - che dei veli che  ci separano da noi stessi e dal mondo reale (non intendendo il mondo tangibile  e fenomenico, ma semplicemente tutto ciò che è vero).
  È tempo di tornare a quella  domanda, ora. 
  È tempo di prenderla in  considerazione, lasciando da parte gli spiriti, le potenze e i massimi sistemi  - sui quali, prometto, vi sarà modo di tornare ampiamente, ma non oggi - e  perfino lasciando da parte il “nosce te  ipsum”, che è diventato ormai un proverbio privo di significato,  un’allusione misteriosa pronunciata con fare ammiccante che passa di bocca in  bocca.
  Che cosa stai cercando?
  Non rispondere.
  Fai silenzio. 
  Medita.
  Se giunge un risposta, non  affrettarti ad affiggere manifesti di cui non importerà a nessuno: incamminati  verso di lei e mettiti in viaggio. Una volta che sarai giunto a quella che  credevi la meta, sentiti altrettanto libero di sceglierne un’altra, più matura  per il tuo nuovo stato d’essere.
  Poco a poco capirai dove  realmente si stanno dirigendo i tuoi passi.
  Quando avrai toccato qualcuna -  più d’una - delle mete che ti eri prefissato, comprenderai il senso di questo  scritto, e saprai anche rispondere alla domanda che ti fu posta all’inizio.
  Prima d’allora, cammina in  letizia.
Iehuiah