La dottrina simbolica

- indicazioni per la lettura dei testi ermetici -

Simbolo, dal greco symbolon a sua volta discendente da sym-bàllein, significa “mettere insieme, ricongiungere”. Un’antica usanza prevedeva infatti che due uomini, stringendo un patto d’alleanza tra loro, si scambiassero le due metà di una moneta o di un altro oggetto. Quando i loro discendenti potevano mettere insieme queste due metà della moneta, potevano provare che tra le loro famiglie o i loro clan esisteva un antico patto di alleanza.
Così si narra che Thoth, vedendo impoverirsi e volgarizzarsi la sapienza, creò dei simboli – i geroglifici – che avrebbero custodito il patto d’alleanza tra l’uomo che li avesse saputi interpretare e il mondo cui quegli scritti criptati facevano riferimento. Con questa leggenda, risalente all’alba della nostra storia, nasce anche il concetto di segreto iniziatico: non dunque un segreto riferentesi al nostro mondo e custodito da pochi, quanto una chiave interpretativa incomunicabile, che ognuno dovrà trovare da sé, dovendo l’eroe “rubare il fuoco ai cieli”.
Bisogna tener presente, quando ci si addentri nell’ermetismo, che tutto ciò che si tramanda è scritto o detto per mezzo della chiave simbolica: ri-velato, quindi, non svelato. Non si scoraggi, quindi, chi tenta: molta parte del percorso consiste nel cercare di aprire la propria mente spogliandola delle sovrastrutture, per poter percepire il mondo sottile cui i simboli fanno riferimento. I problemi si pongono in relazione, più che altro, all’approccio dello studioso di fronte ai testi ermetici, poiché è assolutamente naturale sbagliare approccio (anche per anni!), limitandosi a leggere, studiare e cercare di capire. Questo è, infatti, ciò che ci viene insegnato fin dalle scuole elementari: che i libri si studiano e le materie si imparano. Ma ciò che capiamo, una volta che siamo divenuti parte della vita lavorativa, è il fatto che le nozioni teoriche sono davvero nulla rispetto alla pratica: si può aver studiato il modo di cavare un dente ma non si è mai tenuta una pinza tra le mani, non ci si è mai confrontati col sangue o con un paziente che si lamenta. Non si ha mai avuto idea della responsabilità medica che segue a un errore di distrazione.
L’ermetismo segue una via per certi versi analoga alla pratica di un lavoro contrapposta alla teoria, con una differenza fondamentale: ciò che viene “studiato” in ambito Tradizionale può pure essere letto con estrema attenzione, può essere approfondito tramite la cultura, si possono tentare definizioni dei vari termini (“volontà”, “stato di mag”, “corpo lunare”), ma in realtà non si ha la minima idea di che cosa questi termini vogliano indicare. Non si sa cosa voglia dire “volontà” finché non si impara a volere. Si tratta infatti di simboli, di termini legati all’esperienza: non c’è nessun corpo lunare fantasma che va a spasso per la città a nostra insaputa, non si vedranno con gli occhi fisici né geni né eoni, ma nel tempo una voce sottile inizierà a farsi strada e sembrerà voler far capire, più a fatti che a parole: “Figlio, io non sarò mai come tu ti aspetti. Sarò invece infinitamente diverso e infinitamente di più di ciò che ti aspetti”.
Emerge con ovvietà, a questo punto, quanta apertura mentale debba avere un individuo per accettare di percepire senza poter, per lungo tempo, spiegare; per vedere compiersi delle trasformazioni senza, per lungo tempo, conoscerne la causa; per poter constatare che “Qualcosa” opera, e che funziona, ma le parole verranno a mancare quando cercherà di capire cosa, come e perché.
Le risposte, infatti, verranno soltanto dopo le domande; e le domande nasceranno dall’esperienza.
Quando le giuste domande si saranno formate; quando il tempo avrà fatto di quel giovane curioso un uomo che sappia dirigere il suo volere, che abbia appreso l’infinita pazienza del continuo lambiccare e sappia che per gradi si può davvero accedere a un altro stato d’essere; che allo stesso tempo abbia sperimentato che, mentre l’accesso al mondo delle Cause avviene secondo tempi che hanno poco a che fare col tempo umano, le trasformazioni del suo essere, del suo sentire e della capacità di comprendere si susseguono a velocità inaudita, fino al punto che il senso d’identità (“io sono così e sono certo di conoscermi”) si disgrega, lasciando soltanto la libertà dell’Io di autodeterminarsi.
È a questo punto che il simbolo si apre alla mente, non più ancorata alla realtà fenomenica, all’occhio capace di vedere oltre. È a questo punto che gli avvenimenti non sono più percepiti come casuali, in quanto concatenati secondo una legge naturale di portata immensa e legati insieme da un efflato sottile eternamente rinnovantesi, dalla potenza inesauribile. Non si sa perché si è letto, ma si constata in quanto si percepisce.
Vedete, ciò che non vediamo e non percepiamo non è accessibile dall’attitudine del filosofo che teorizza se l’invisibile esista o non esista, e come sia fatto: nessun filosofo teorico può dire qualcosa in merito che non si limiti all’ipotesi non comprovata. L’ignoto è una questione di percezione: aprendo la mente all’assenza di giudizio, sperimentando con pazienza, ritrovando l’entusiasmo del bambino e amando ciò che si fa al punto da non temere di perdere l’idea di sé (condizione indispensabile e patto non negoziabile), lasciando fluire le trasformazioni dell’essere, la percezione si affina e il miracolo accade anno dopo anno.
Questo è in sintesi il fondamento della dottrina simbolica, ed è quanto c’è da sapere quando si legga un libro di filosofia ermetica.
Non alla parola in sé, ma allo Spirito della Parola bisogna accedere, coniugando la teoria alla pratica, restando vigili e non avendo paura di perdere ciò che si conosce di se stessi e del mondo. Continuare a lambiccare finché il Verbo diventi carne e, anche allora, non adagiarsi sugli allori.

Iehuiah