Aspetti umani della morte iniziatica

La crisalide non sa con certezza che muterà in farfalla: è un istinto irrazionale che spinge il bruco a tessere il proprio bozzolo.
A nulla varrebbe che una farfalla parlasse con un bruco, rassicurandolo sul fatto che il suo operato gli permetterà di volare: che può comprendere, infatti, un bruco, del volo?
Allo stesso modo, sulla via della trasmutazione, noi non sappiamo con certezza che diventeremo qualcosa d’altro: ciò di cui abbiamo bisogno è scoprire in noi l’istinto della trasformazione naturale.
Molti autori hanno parlato di un cammino evolutivo, che dovrebbe condurre l’uomo a generare in sé qualcosa che, a parole, ci pare estraneo, tanto quanto il sistema cognitivo del bruco non riesce a incasellare le informazioni sulle ali e il volo di una farfalla. Si parla, ad esempio, di iniziazione, illuminazione, elixir di lunga vita, pietra filosofale: tutti termini che non significano, di per sé, nulla di conosciuto o individuabile. Il più grande errore che un ricercatore possa commettere consiste, appunto, nel non darsi il tempo sufficiente per imparare a conoscere tutte le sfumature del sistema cognitivo esoterico. In parole povere, per “sistema cognitivo” si intende un sistema di interpretazione che, per mezzo dell’uso, consente all’individuo di utilizzare al meglio tutte le sfumature di significato che compongono l’ambiente che va a studiare: allo stesso modo in cui un antropologo, che voglia studiare una realtà sociale diversa dalla propria, deve impararne gli usi e i costumi, anche un ermetista che approcci i testi classici e un percorso iniziatico deve impararne il linguaggio, le modalità interpretative e la mentalità sottostante.
Questo è possibile, per l’antropologo, vivendo nella realtà di cui si propone la conoscenza; per l’ermetista, è possibile con la pratica, cioè addentrandosi nella realtà che desidera conoscere. In entrambi i casi, un periodo di adattamento alla nuova realtà, più o meno lungo, sarà necessario.
In questo senso, si può anche comprendere che è vano approcciare il possibile risultato dell’opera umana (iniziazione, pietra filosofale e affini) con le informazioni derivanti dal sistema cognitivo attuale: bisogna prendere atto che, soltanto per comprendere a quali effettivi risultati si potrà giungere tramite una Via, bisogna lavare la propria mente col fuoco, onde permetterle di comprendere.
Per questa ragione, il primo gradino di ogni scuola iniziatica mira a distruggere le sovrastrutture della razionalità analitica ordinaria che, a nostra insaputa, basa i suoi ragionamenti (o, meglio, i suoi sillogismi) su premesse errate, cioè su luoghi comuni e assiomi che non sono dati dall’esperienza, bensì da un tipo di educazione privo di ogni approccio critico.
Per dirla in termini semplici, per comprendere quali siano le possibilità dell’uomo di andare oltre se stesso, e quindi comprendere dove ci stiamo dirigendo per mezzo degli strumenti della Via e decidere se, effettivamente, vogliamo percorrerla, è inutile speculare: sarebbe come se un bruco volesse mettersi a filosofeggiare sulle minuzie del volo, cioè su un’azione che non può concepire. Bisogna invece concentrarsi sul tessere il proprio bozzolo e, mano a mano che questo cammino verrà compiuto, le risposte arriveranno tramite l’esperienza. Un giorno gli schemi mentali, sollecitati dal lavoro, inizieranno a crollare: sarà allora che un nuovo pensiero emergerà, differente dal precedente modo di ragionare, e per istinto e intuizione comprenderà quanto prima era inaccessibile. A questo punto, il percorso vero e proprio potrà avere inizio e, anzi, ci si accorgerà che anche quanto è stato compiuto in precedenza faceva parte di quella strada.
Sappiamo, infatti, molto bene – e, anzi, ci esce dalle orecchie fin dai corsi propedeutici – che la prima tappa di questa Via è quella di identificare le sovrastrutture che ci hanno impedito di svilupparci in modo naturale: coltivare noi stessi come esseri è qualcosa che non ci viene insegnato dalla società ordinaria. Ci viene invece insegnato ad essere educati, a prodigarci per raggiungere traguardi sociali, a cercare un marito o una moglie che abbia determinate caratteristiche, a comportarci in modo che gli altri parlino bene di noi.
Per quanto una persona possa essere abominevole dal punto di vista umano, per quanto possa aver violentato la sua natura e per quanto possa essere infelice e frustrata ogni volta che rientra in casa, la verità è che più essa si avvicina agli standard di “successo sociale” appena enumerati, più essa è tenuta in considerazione. Ed è la ricerca continua di questa considerazione il più grande scoglio dal quale liberarci: è per essa che temiamo di cambiare e di abbandonare gli obiettivi elencati sopra.
Facciamo qualche esempio: forse, nella nostra vita, abbiamo amato profondamente una persona con la quale un’unione, agli occhi della società, era mal considerata. E, forse, abbiamo rinunciato all’amore per perbenismo. Forse, qualcuno fra noi è abilitato a una professione che rende molto denaro, ma sarebbe stato felice nel fare l’artigiano. Magari, avrà rinunciato alla sua vocazione per ambizione. Forse, ancora, qualcuno ha rinunciato a seguire la propria indole di viaggiatore per quieto vivere. Qualcuno, magari, non sa dire di no a condizioni di vita che sono, a tutti gli effetti, di sudditanza, per senso del dovere.
In tutti questi casi, la nostra indole profonda e i sogni della nostra vita ci sono parsi inadeguati e, semplicemente, sono stati abbandonati.
Passano in secondo piano, e con il tempo perfino scompaiono, i nostri sogni e ideali, che non siamo più in grado di rammentare. Chi siamo? Cosa volevamo? Dove abbiamo dimenticato noi stessi?
Per questo, magari, sognamo di trasferirci all’estero o di trovare un grande amore, oppure ci ritiriamo in un nido solitario, confortandoci con le piccole cose: ci proiettiamo all’esterno per acquietarci, esattamente così come ci è stato insegnato. Lo facciamo in modo naturale, per virtù acquisita. Altre persone sembrano comprendere di aver perso qualcosa e si rivolgono alla psicanalisi, alla religione o al mondo esoterico.
L’unica cosa che può esser detta a queste persone è che, per quanto mi riguarda, hanno centrato il punto della questione: il problema è che abbiamo perso qualcosa che ci apparteneva e non siamo felici, ma c’è il modo di riscoprirla e ripartire esattamente da lì, dove ci siamo fermati.
Solo che, a volte, bisogna tornare molto indietro negli anni per ritrovare il ricordo di almeno un istante in cui il nostro essere era all’apice e ci aveva manifestato la sua natura in piena fiducia: in questo senso, il momento della caduta delle sovrastrutture genera uno sconforto indicibile, perché si ha l’impressione di svegliarsi da un lungo sonno in cui si è vissuta la vita di un altro, con l’unica differenza che non si trattava di un sogno notturno e gli anni sono passati anche nella realtà.
Appena un ricercatore inizia a comprendere, anche inconsapevolmente, che il lavoro che compie su di sé lo porterà inesorabilmente a questa presa di coscienza con la quale dovrà misurarsi, una lotta inizia a scuoterlo nel profondo e, se il suo spirito non è abbastanza forte, torna a vivere come aveva fatto fino ad allora.
Questo è assolutamente comprensibile e, anzi, non sarebbe auspicabile che chi non se la sente persegua un confronto con se stesso di questo tipo.
Bisogna, d’altra parte, prendere atto che solamente l’essere profondo e reale che giace in un individuo può compiere un percorso iniziatico e sviluppare le proprie potenzialità: un uomo menomato nello spirito, invece, che abbia rinunciato a se stesso in qualche punto della propria vita e che viva un’esistenza non sua, invano cercherà di percorrere una Via e, se pure busserà con forza alla soglia e qualcuno udirà la sua voce, ciò che otterrà è la distruzione della propria vita precedente.
Ora, per chi sia giunto fin qui nella lettura e sia ancora bendisposto a procedere lungo questo sentiero, qualche parola va detta in merito a questa caduta delle sovrastrutture, che nei classici è chiamata “morte iniziatica” e che corrisponde, né più e né meno, a un mutamento radicale del proprio sistema cognitivo.
Quando si legge di morte iniziatica, infatti, ci si trova dinnanzi a differenti approcci da parte degli autori: c’è chi la mette sul piano della tragedia e della rinuncia assoluta, quasi ascetica, a tutto ciò che si conosceva della vita precedente; c’è chi, d’altra parte, descrive in minima parte questa “opera al nero”, senza avvisare delle controindicazioni che essa può generare nella nostra vita quotidiana.
Alcuni autori hanno optato per un approccio più neutro e realistico, che mi sento di condividere, accennando alla grande difficoltà di questo periodo ma mettendo in luce, altresì, come non si tratti di operare scelte ascetiche o masochistiche, bensì di ritrovare se stessi e di sostituire la propria intima natura alle sovrastrutture, accettando interamente, coscientemente e serenamente le conseguenze e le paure che da questa scelta derivano. Non un semplice abbandono di ciò che conosciamo, quindi, ma la sua sostituzione con le nostre vere tendenze.
Possiamo ben comprendere che la nostra vita attuale possa non essere ciò che vogliamo per noi stessi, non tanto nel senso che vorremmo avere più ricchezze o felicità, ma nel senso che essa non è adeguata alla nostra intima natura: non siamo nel posto giusto per poterci manifestare quali realmente siamo.
Lo sviluppo dell’essere, invece, richiede condizioni idonee che dobbiamo saperci ricavare, avendo fiducia nel fatto che in questo essere risiede la causa della nostra esistenza e ogni informazione relativa alle nostre più intime e vere aspirazioni e che, quindi, dobbiamo mettercela tutta per trovarlo e ascoltarlo.
È, infatti, in questo nucleo profondo che risiede la “magia”, intesa come volontà fruttifera.
Bisogna anche considerare, in relazione alla caduta delle sovrastrutture e al timore di quel momento e di ciò che lo seguirà, che se il cambiamento di sistema cognitivo avviene effettivamente, diventeremo un essere che non si abbatte quando persegue i propri obiettivi, a differenza di quanto faceva la personalità ordinaria: c’è qualcosa di profondamente diverso nel nucleo profondo dell’essere umano, come una forza inestinguibile, alimentata dalla serenità del sapere che tutto ciò che ci circonda segue la sua legge, che i problemi sono illusori e che il dolore nasce, molto semplicemente, da una mente squilibrata.
L’intera esistenza diventa, allora, una questione di sottili equilibri, che è possibile approcciare come se si stesse giocando: la peggiore delle conseguenze, ciò che appare terrificante alla personalità, è per l’essere una semplice eventualità che, se si dovesse presentare, verrà affrontata per temprarsi in essa.
Certamente, non è semplice vivere focalizzandosi sempre su questo stato di coscienza, ma esso si stabilizzerà con l’andare del tempo e, anche negli istanti in cui gli antichi timori ci scoraggeranno, impareremo a considerarli per ciò che essi sono, senza farcene subissare. Nessuno nega che questo momento di passaggio, quindi, sia effettivamente demoralizzante e che le paure che si scatenano siano ben fondate: ciò che si vuole sottolineare è che non si tratta di una mera rinuncia, ma della possibilità di un cambiamento effettivo e anche che, quando si presenterà il momento, si libereranno le energie sufficienti per affrontarlo.
Dunque, a prescindere da cosa si creda di aver letto nei libri, il primo passo verso l’iniziazione non è diventare un semidio, ma diventare un uomo che sappia farsi rapire con coraggio dall’ebbrezza della vita, avendo fiducia nella propria meta ma, specialmente, rispetto di se stesso: dire “sì” per accondiscendere a qualcosa che non si vuole può chiamarsi generosità, ma spesso è semplicemente senso del dovere, e in questo caso quel “sì” perde ogni valore.
Mano a mano che il nucleo profondo viene individuato nella vita quotidiana, esso viene, al tempo stesso, rafforzato e sollecitato al risveglio dai riti e dalle pratiche tradizionali, tramite le quali ci ricaviamo dei tempi di silenzio e solitudine nei quali concentrarci su un mondo fatto di vibrazioni sottili, che vanno a nutrire questo essere che alberga in noi e non ha avuto modo di svilupparsi armonicamente.
Non si creda, però, che quanto contenuto in queste righe corrisponda a una via del tutto incentrata sulla vita quotidiana che si risolve in una specie di “guida alla felicità” o all’autenticità: certo, è anche possibile fermarsi a questi obiettivi, ma in linea teorica essi sono i primi gradini di una lunga scala, che parte dall’uomo ordinario per spingerlo a diventare “uomo naturale” (cioè: se stesso) e, di lì, incamminarsi lungo il sentiero che lo condurrà all’integrazione delle proprie facoltà animiche, alla conoscenza delle leggi che governano la vita e a spostare il proprio centro cosciente in una dimensione più sottile nella quale vivrà, pur potendo continuare ad agire nel mondo materiale.
Riguardo questi aspetti, tuttavia, più avanzati, rimando alla copiosissima letteratura esistente sul punto.

Iehuiah