A una madre

Si muore per tante cause diverse e di origine occulta che considerare la morte come tipo unico non si può. Si muore per insufficienza degli organi materiali corporei (vecchiaia), per conflitto di cause vitali e fisiche (morte violenta), per attrazione in altre sfere (emigrazione), per attrazione in corpi più omogenei (nati senza spirito), per incompatibilità di ambiente (mutazione): insomma, il tipo morte non esiste.
Generalmente si muore col corpo e si continua a vivere per pochissimo tempo (giorni, settimane, qualche mese), poi si entra nel sonno (il Lete, l'oblio), l'anima si riduce a fava o seme di anima ed è attratta da un utero, in mancanza di umani, di animali più omogenei e temporaneamente, come in attesa di trovare una casa.
La sofferenza non esiste che nel solo periodo di coscienza che è breve e, se si è continuamente richiamati dall'amore dei vivi, questa agonia si prolunga.
Nel periodo attuale (scritto del 1911) non c'è da meravigliarsi di niente, perché ci sono semi di altre cose nell'aria. Nel Commentarium accennai a che cosa servono le comete e le irradiazioni stellari e velatamente mi pare di aver detto che quella cometa (si allude alla cometa del 1910) prendeva o predisponeva emigrazioni di anime terrestri in altri pianeti abitati (scoppia dopo tre anni la guerra e poi la "spagnola"...).
Vi sono persone che muoiono quando il corpo che le deve albergare è già nato e cresciuto per mesi o anni, fino all'epoca della mestruazione per la donna e della prima polluzione per l'uomo...
Considerate i simboli egizi lasciatici dai sacerdoti egizi. I primi egizi furono dei pochi superstiti di razze arrivate e distrutte da cataclismi tellurici che si chiamarono diluvi nei libri sacri. Le razze di tanti colori sono rispondenti a tante umanità arrivate e distrutte da cataclismi, i quali avvengono appunto perché l'arrivo della razza all'apogeo determina la convulsione della materia cosmica, perché noi, materia cosmos, siamo UNO. Tra quaranta anni non ci saremo nessuno dei tanti amici della Myriam, eppure staremo qui tutti. Quelli che sono passati in altri cicli (leggi: pianeti) mancheranno. Vi sarà qualcuno che ora manca e deve venire da mondi lontani.
Il problema della vita e della società non si può abbordarlo senza conoscere il retroscena che non è quello che sa il pubblico. Quando tutto il pubblico arriverà a questo stato di conoscenza, allora... si riproduce un altro cataclisma, ricomincia un'altra razza e i pochi rimasti di questa arrivata saranno i maestri e i sacerdoti di quella nuova.
Il sentimento è un elementare potentissimo della poesia umana, attraverso la quale la Verità del Vate, che si appalesa infiorata di sorrisi e di lacrime, mentisce la realtà simbolica della rivelazione.
I morti non si evocano, non si piangono, non si vegliano. Li si aiuta a dimenticare perché, morti, il ricordo della vita è la passione infernale che dà il simbolico tormento della bruciatura, nel quale il dormiveglia del primo momento (dico momento per dire l'attimo di fronte all'eternità), il distacco dal legame brusco e non troncato dell'affetto di madre, di sorella o di sposa è scosso in continui sobbalzi da una memoria latente e dolorosa degli ultimi momenti di passione e nella passione è compresa la sofferenza e l'impressione dell'ultima vigilia.
Dite ai morti: pace. Pregate perché dormano e passino il Lete, lavandosi dei ricordi umani. Come qui vi sono le donne che assistono alle nascite e confortano il primo vagito di un neonato che non è una voce di tripudio, nel regno dei passaggi di anime vi sono esseri che la mentalità umana ordinaria non può comprendere e che compiono la loro missione accompagnatrice durante il fenomeno di passaggio, di transizione da un ordine di vita a uno di calore e stato diverso. Pregate perché riposino, i morti, e l'evoluzione si compia senza crisi, senza sobbalzi, senza risvegli di attimi memorabili. La preghiera magicamente intesa non è la petizione del mistico a esseri che non si afferrano; la preghiera è l'incantesimo, è la ninna-nanna che culla l'anima germogliante in un Eliso a cui mancano le sembianze care delle persone amate e lasciate viventi della vita umana.
La mia non è una critica ma è sdegno quando penso alle menzogne mistiche inoculate e distillate per tanti secoli da religioni che ebbero mire di dominio umano sulla psiche di miliardi di anime che intendono la redenzione come la schiavitù a un ciclo di dolori e di spasimi.
Voi, madre, l'avete tratta dall'ignoto delle anime la vostra figliola che avete allattata, nutrita, cresciuta, educata: ve la vedete rapire dallo stesso mondo ignoto che è una legge specifica e non una volontà capricciosa. Il perché è morta, il perché vi è stata rapita è un ignoto che assume la forma dell'egoismo umano: e voi, delirante di passione e di affetto, vorreste vederla nel mistico sentimento dell'amore materno, accompagnarla nel buio delle anime, come guidaste i primi passi un anno dopo la nascita sua. Ma non sapete voi che all'ora in cui fu festa in casa vostra per la nascita di una figlia, un'altra madre aveva perduto proprio quella e dolorava come oggi voi fate?
Non leggete poeti mortuari. Leggete qualcosa dei Pitagorici, le barzellette di cui lo scetticismo del materialismo romano infiorò la dottrina della metempsicosi dell'aurea Schola italica di cui noi siamo discepoli e continuatori. Dite ai figli parole di certezza. Non fate che trepidino alle minacce di una legge uguale per tutti e non riproducete trafitta nel cuore l'immagine della Mater Dolorosa che è il non senso dell'egoismo umano addebitato e trasportato all'unico momento della superumanità che è la morte.
Oltre i confini della vita umana noi abbiamo amici che sono Dei, sono divinità ammonie, che non permettono alle anime dei nostri cari sofferenze di concezioni umane e che noi intendiamo col fisico delle nostre membra che illividiscono a una graffiatura.
Le scarpe vecchie si tirano via: il piede resta. Una scarpa nuovissima bella ma incomoda si tira via: il piede resta. Il giorno in cui il piede non serve più il chirurgo lo taglia: resta la gamba. Quando tutto è incomodo e sgualcito, giù nel cimitero, e restiamo noi, non lo spirito del mercurio umano, la lo jod dei cabalisti, il principio primo che è, che fu e che sarà attraverso le maschere umane e planetarie il nostro IO in contatto con l'unità del Cosmo.
È l'opera di Myriam la forma lenitiva, purgatrice e redentrice dal dolore contro l'illusione della tradizione balorda dei primi selvaggi. Evocare le forme e i pensieri astrali dei morti non è necromanzia, è qualche cosa di peggio: è vivificare le scarpe rotte che il piede morto ha gettato via.
Appena rinati, i morti possono, come in telepatia gli uomini vivi, manifestarsi per sogni veramente e anche con apparizioni quando sono già rinati. Allora, risvegliandosi la memoria della vita anteriore coi suoi affetti, hanno la facoltà innocente di sdoppiarsi specie nei primi anni dell'infanzia, poi l'ambiente della nuova famiglia e l'adattabilità del nuovo corpo fisico fa dimenticare per la seconda volta e cessano visioni e sogni.
Non pensate alla vostra morta, non la chiamate, non la invocate, non la svegliate. Circondatela di un affetto tenero, calmo, indiretto. Datele un asilo dolcissimo nel vostro cuore, non la turbate con spasimi e dolori che risvegliano in lei i sentimenti e il magnetismo dei suoi cari dai quali deve allontanarsi.
La morte lascia un incantesimo di solitudine e di dolore nei vivi. Riacquistate per lei, per il suo riposo, per la sua pace quella calma sicura di saperla più felice sulle rive di quel mistico Lete, per il quale e oltre il quale l'oblio ci spoglia delle vecchie idee e delle passioni sanguinanti.

Giuliano Kremmerz