L'intelligenza

   Qualche tempo addietro, in un circolo culturale, ebbi occasione di assistere a una conversazione con dibattito sull’intelligenza e notai che fra tante cose giuste si dicevano anche tante corbellerie, dettate da una visione limitata, settoriale e materiale di ciò che è la natura e la vita. L’evento, però, mi fece riflettere e, di conseguenza, decisi di procedere a una revisione di ciò che personalmente intendevo per intelligenza e la mia riflessione, che tenterò di spiegare in parole povere e con concetti terra terra, iniziò dalla leggenda mosaica della creazione dell’uomo, secondo la quale il primo essere fu impastato da Dio “con polvere del suolo” (Genesi) e dopo Egli gli soffiò nelle narici “un alito di vita”, cioè un tipo di intelligenza di livello superiore a quello della materia da cui Adamo, “il nostro primo principio intelligente” (Kremmerz, Opera Omnia, III vol, pag. 639), era stato formato. Da ciò si deduce che l’intelligenza infusa in Adamo era superiore a quella della polvere da cui fu creato ma non era uguale a quella di Dio, essendo soltanto una sua emanazione; pertanto, dovremo considerare Dio, o ciò che si intende per Dio, l’intelligenza universale o prima sostanza intelligente ben diversa da quella che è l’intelligenza dell’uomo e talmente superiore che quest’ultima non è in grado non solo di eguagliarla, ma neppure di immaginarla. Tale intelligenza Adamo doveva poi trasmettere a tutti i suoi discendenti, compresa Eva che fu creata da una parte del suo corpo togliendogli, così, l’innata caratteristica di essere androgino. Tutto ciò, si potrà obiettare, è simbolismo che deve essere interpretato correttamente e mi dico perfettamente d’accordo.
  Osserviamo, allora, qualcosa di più concreto: la natura. Se la esaminiamo con apertura mentale, non possiamo non ammettere che ogni cosa esistente ha un’intelligenza, pur se essa sembra essere limitata alla funzione che la cosa deve svolgere. Mi spiego meglio: se con intelligenza intendiamo il principio informatore, ovvero una sublimazione purissima o la massima attenuazione della materia visibile di tutto ciò che esiste, ovvero un’intensa vibrazione che i sensi o gli strumenti percepiscono come diversa da tipo a tipo di materia, esso è presente in tutte le cose, inclusi metalli, minerali, vegetali e animali, ma se con principio informatore intendiamo l’intelligenza capace di continua evoluzione, ritengo si debba riconoscere che essa esiste quasi esclusivamente nell’essere umano. E qui mi sembra di sentire il lettore critico che dice: “Ma come, anche i sassi hanno intelligenza?” La risposta a questo incredulo lettore è “Sì, anche i sassi hanno intelligenza e non solo: tutto quanto ha intelligenza, ha anche memoria” e per dimostrarlo basti pensare a una lastra di marmo utilizzata in una costruzione; se il marmo non avesse l’intelligenza e la memoria che lo fa essere marmo, e quindi un materiale solido e sempre affidabile per le costruzioni, non potremmo soggiornare in una dimora costruita col marmo, perché esso potrebbe sgretolarsi in un qualsiasi momento e seppellirci sotto le macerie. Invece, il marmo continua a essere marmo e a svolgere costantemente la funzione che gli viene dettata dalla sua intelligenza fin quando non decidiamo noi di distruggerlo. Chi, se non la sua intelligenza, suggerisce a un seme di restare dormiente se chiuso in una busta e di germogliare e produrre una pianta se posto nel terreno? e chi gli dice di indirizzare le radici verso il profondo del terreno e il fusto della pianta verso l’alto? Un pero ha l’intelligenza necessaria a svolgere la sua funzione di produzione di frutti commestibili, ma potremmo contare su questa sua funzione costante se di tanto in tanto producesse frutti velenosi? Portiamo la riflessione un po’ oltre: l’intelligenza di una roccia, di un albero, di un metallo non evolve; ciascuno di loro svolge sempre la sua funzione in modo costante tranne quando interviene una forza (fuoco, aria, acqua) che ne modifica la natura (vera crisi trasmutatoria nella forma della materia unica), come ad esempio per le rocce che, se sottoposte all’azione erosiva del vento e delle acque, si trasformano in polvere, sabbia e fango con un differente livello di intelligenza; o per il legno che, sottoposto all’azione del fuoco, si trasforma in cenere o carbone. L’intelligenza di un animale potrebbe essere aperta a una limitata forma di evoluzione e ciò può riscontrarsi in un cane addestrato per la guida dei non vedenti o per operazioni di polizia, in un cavallo o altro animale preparato per svolgere un ruolo in un film, e così via. L’intelligenza dell’essere umano, invece, si trova su un piano del tutto differente e oggi è ben diversa, cioè enormemente più evoluta, dall’intelligenza degli amminoacidi che pure costituirono il primo e più piccolo mattone della vita e l’inizio dell’avventura dell’uomo su questo pianeta.
   Si può, dunque, ipotizzare che solo l’intelligenza umana abbia la possibilità di evolvere fino a livelli oggi impensabili? La storia dell’umanità indurrebbe a dare una risposta affermativa a questa domanda e ritengo che su questo punto si sia tutti d’accordo.
  Il punto sul quale non è altrettanto facile trovare l’accordo, però, è “che cosa avviene quando una forma cessa di esistere o muta la sua funzione? Dove va o in che cosa si trasforma la sua intelligenza (pietra frantumata = polvere e sabbia; albero bruciato = cenere o carbone)? E cosa avviene quando cessa di esistere la forma umana?” Uno scettico potrebbe rispondere “Niente ci garantisce che anche l’essere umano non finisca come tutte le altre cose in natura, cioè in atomi, polvere e altri prodotti della putrefazione” e di certo questa ipotesi non può essere esclusa senza prova contraria. Ma se l’intelligenza dell’essere umano riuscisse a enucleare, nel corso della sua esistenza, un qualcosa di indistruttibile? Resterebbe la sua intelligenza in questo qualcosa o si trasformerebbe in intelligenza della polvere, degli atomi e di tutti i resti del cadavere o tornerebbe a dissolversi in un centro vibrante di intelligenza universale? I vari scrittori di esoterismo, primo fra tutti G. Kremmerz, sostengono la possibilità, se non addirittura la certezza, della reincarnazione della molecola dell’Intelligenza universale presente nell’essere umano, implicando la continuità di identità unica attraverso le varie reincarnazioni. In un’opera riservata agli appartenenti alla Scuola da lui fondata, Kremmerz afferma: “L’uomo nascendo e morendo milioni di volte evolve in uno stato ultimo di vitalità intelligente per cui uomo o cadavere egli è sempre vivo […], non ha bisogno di corpo visibile per mantenersi sveglio. Tale sviluppo costituisce le intelligenze pure non soggette a reincarnazioni”. Se accettiamo, per fede o per esperienza, questa sua affermazione, sorge un’altra domanda: “È possibile abbreviare il procedimento?, cioè, esiste una formula che consenta di non nascere e morire milioni di volte prima di riuscire a diventare una intelligenza pura?” A questa domanda hanno cercato di rispondere gli alchimisti del passato, ma sono essi attendibili? Essi affermano che attraverso il procedimento alchimico è possibile abbreviare il cammino dell’evoluzione e trasformare il piombo (leggi: essere umano comune) in oro (essere umano altamente evoluto o intelligenza pura), ma tale procedimento è talmente nebuloso e occultato nei loro scritti infarciti di simboli astrusi, di inganni e anche di menzogne da risultare comprensibile soltanto a un’intelligenza già notevolmente evoluta. E per coloro che non sono ancora arrivati al livello di intelligenza che consenta loro di decifrare i testi alchemici, che cosa resta? A questa domanda avrei una risposta ma, il lettore mi scuserà, non intendo formularla al fine di non usare alcuna forma di coartazione sottile sul ricercatore, che troverà da solo la risposta quando proverà a se stesso che tale risposta è in armonia col suo essere, con le sue aspettative e con la natura, quando non avrà più paura di sfidare il serpente astrale ovvero quando sentirà ardere in sé il fuoco perenne che lo spinge verso la meta voluta.

Hahasiah