Sesta Lettera
Al fine di comprendere di cosa parla il principe Raimondo di Sangro si consiglia di leggere le precedenti lettere presenti in archivio.
   La dotta Dama, a voi ben nota, che con dolci sproni m'invitò a scrivere la Lettera Apologetica e che si è renduta per la varietà de' suoi fluidi d'un intelletto assai critico e penetrante, non sì tosto che ebbe sotto  gli occhi le quattro Lettere sul ritrovamento del mio Lume, ch'io in questi  ultimi tempi v'addirizzai, e la quinta Lettera che vi scrissi alcune settimane addietro per rispetto al sistema che mi sono formato sul detto fenomeno e sulle  tante stupende sue circostanze, che combinandole tutte e cinque insieme mi  propose su di esse alcune non leggiere difficoltà. Furono da me udite con quel  rispetto che convenivami le spiritose sue critiche; ma chiesta quindi da lei  permissione di far da quelle difesa, le ribattei in guisa che essa ebbe la  benignità di confessare di essere rimasa delle mie ragioni interamente  appagata. Per una privata censura dovea bastarmi, è vero, una privata difesa.  Ma poi, entrato in sospetto che le medesime opposizioni si potessero fare in  progresso di tempo da qualche altro, non ho stimato di contentarmene: onde, per  ovviare a questo inconveniente e per rendere pure giustizia al felice ingegno  che le ha in primo prodotto, le fo in un colle mie risposte ora pubbliche per  mezzo di due altre lettere, che a voi parimenti addirizzo: delle quali la prima  è questa e la seconda sarà quella che nella ventura settimana vi scriverò. In ambedue  vedrete sotto ciascuna opposizione della Dama la mia risposta: esaminate le une  e le altre seriamente con tutti que' dotti uomini a' quali le comunicherete, e  quindi con ispassionatezza giudicatene.
     Se la materia  contenuta in un orinaletto (mi oppose essa in primo luogo), per quel ch'io  scrissi nella mia prima lettera, appena fu da me accidentalmente approssimata  ad un cerino tosto s'accese, come accadde poi che, stando acceso il lucignolo,  la materia che vi sta immediata non s'accenda? A questa prima opposizione mi fu  facile di rispondere coll'esempio dello spirito del vino e di tutte le altre  materie spiritose e accendibili le quali, siccome per incontrastabile  sperienza, essendo aperta la bocca del vaso che le contiene, qualunque  accostamento di fiamma prendon fuoco, così poi non hanno quest'attività  qual'ora vien chiusa la suddetta bocca per mezzo d'un coperchio; sebbene il  lucignolo, che esce da un forame fatto in esso a bella posta, sia acceso. La  difficoltà che in secondo luogo mi fece è la seguente.  
 Per qual ragione da  me si vuole adoperare il lucignolo, giacché la materia brucia da sé ed io non  posso essere sicuro che la durata di quello abbia a corrispondere alla lunghissima durata di questo? Per rispetto alla prima parte dell'obiezione io  risposi che non per altro penso di servirmi del lucignolo se non per far vedere  a chicchessia tutte quelle stesse sperienze ch'io feci e quelle altre che mi verrà in pensiero di tentare: e in vero, s'io non turassi con un bel suggellato  coperchio la bocca di quell'orinaletto, nel quale dovrò collocar la materia  nell'esporla al pubblico per ardere e non facessi inoltre uso del lucignolo,  come mai, senza rovesciar la suddetta materia, che siccome vi scrissi è a guisa  d'un butirro molle in tempo di state, potrei fare osservare che va a crescere  il dibattimento nella fiamma secondo che cresce a grado a grado la sua  inclinazione? E per tacere tanti altri inconvenienti che ne seguirebbero con  quale esattezza io potrei in una fiamma dissipata e sparsa per tutta l'ampiezza  dell'orinaletto rinnovare quelle tante sperienze che comodamente feci allorché  la fiamma, per essere ristretta intorno al lucignolo, dava a dividere tutti i vari movimenti del suo piccolo cuneo? Voi senz'altro, nell'aver inteso ch'io  voglia collocar la materia in un orinaletto di cristallo allorché dovrò esporla  al pubblico per ardere, vi sarete meravigliato di me, come di colui il quale  facilmente si dimentica di ciò che ha detto. Non è però vero ch'io sia tale;  poiché mi ricordo assai bene d'avervi scritto nella terza Lettera che avrei a  suo tempo collocato nel mio Tempietto i due lumi sopra due candelabri di marmo  sui quali doveano fare essi la comparsa di due ceri, affinché non avessero  avuto l'antico nome di lucerne, ma bensì quello delle candele, e si fossero  lasciati in libertà gli scettici nelle materie fisiche di poterle passare da  banda a banda, dove meglio lor fosse piaciuto, con una lesina infocata per  rendersi interamente persuasi della schiettezza dell'affare e dell'esclusione  di qualunque nascosto inganno: ma se or vedete d'avere io cangiato pensiere,  attribuitene il cangiamento all'unanime insinuazione fattami da alcuni dotti  forestieri i quali, dopo aver osservato la materia che presso me conservo, giudiciosamente han creduto ch'io avrei meglio soddisfatta la comune curiosità  e renduta evidente la durabilità del mio lume col mettere la suddetta materia  in un proporzionato orinaletto di cristallo della grandezza, per così dire,  d'un ditale di donna, affinché sia veduta la sua qualità e la sua piccola  quantità.
     Che vi pare?
     Ho avuto ragione di  mutar pensiere? E come no?
     Se altrimenti,  stando la materia chiusa in un tubetto di metallo incrostato esternamente di  cera, per far comparsa di candela, sarebbe il pubblico rimasto privo di ambedue  le suddette osservazioni, delle quali per quanto la prima è curiosa,  altrettanto la seconda è importante per dimostrare, con l'evidenza, la verità  delle mie asserzioni. E poi non è vero che s'io esponessi al pubblico i miei  due lumi in forma di due candele di cera, oltre che la cera non è durevole,  verrebbero esse a poco a poco a consumarsi coll'essere passate da banda a banda  con una lesina infocata anche da coloro i quali, senza saper punto  d'eleostatica e senza comprendere perciò il fine che mi mosse a suggerire sì  fatta pruova per torre ogni minimo dubbio d'ascosto inganno, vorrebbero farci  anch'essi il loro pertugio?
     Ma venghiamo, dopo  questa necessaria digressione, alla risposta ch'io diedi alla seconda parte  della difficoltà appostami. Non c'è dubbio, io dissi alla Dama, che qualunque  lucignolo che s'accenda non potrà mai corrispondere a quella lunghissima durata  che avrà la materia del mio lume quando sarà accesa.
     Io nella necessità  di dovermi servire d'un lucignolo, per le anzi dette ragioni, siccome da prima  non seppi pensare ad altri se non a quello d'amianto come meno soggetto di  tutti gli altri a sofferire oltraggio dal fuoco, così poi ho riflettuto di  dovere essere necessariamente più durevole un lucignolo d'oro preparato secondo  l'arte: ma non per ciò son passato a credere che la durata di questo possa  esser proporzionevole alla durata della materia.
     Ecco dunque ciò  ch'io farò, le soggiunsi: adopererò il lucignolo d'oro, perché arda il lume; e  se poi, a capo di molti anni, dopo che'l mondo per tante replicate osservazioni  sarà rimaso interamente convinto della verità di quelle sperienze ch'io feci,  così stando il lume nel lanternone che facendosi inclinare per gradi, stando  esso esposto all'aria aperta, m'accorgerò che vada il lucignolo a mancare e a  consumarsi. Allora non ci penserò né meno un momento a determinarmi di far che  prenda fuoco la materia stessa nell'atto di torre il coperchio all'orinaletto  in un col lucignolo.
     Appagata  interamente la Dama di questa mia seconda risposta e delle riferite mie nuove  risoluzioni, passò alla terza difficoltà, la quale fu la seguente. Avendo io  detto nella quinta Lettera, in cui vi esposi il mio sistema, che la materia del  mio lume tiri a sé il fuoco elementare; onde avviene che'l suo accrescimento  non cagioni alcuna mutazione nella fiamma, facendo che essa acquisti e più  spirito e più bellezza; allorché si sa che in tutti gli altri corpi (purché  essi sieno tra loro della stessa specie e dell'istessa qualità) la virtù  attrattiva è sempre proporzionale alla quantità della materia che attrae?
     A dire il vero, l'opposizione  mi parve ben fondata e giudiciosa, ma non per questo mi perdei d'animo ed ecco  la ragione che addussi di sbrigarmene.
     Giacché, per le  sperienze da me fatte, la suddetta materia non arriva ad accendersi se non  quando giunge alla quantità della quarta parte d'un'oncia meno ventisette  grani, è da credersi che essa, prima d'arrivare a sì fatta quantità non  contenga la giusta somma di quelle particelle accendibili che sono atte a  manifestarsi in fiamma, siccome io dissi nel riferito mio sistema; e che perciò  non abbia quel moto che è necessario a farle acquistare la forza attrattiva di  quel fuoco elementare da cui la fiammella prende il suo alimento. Quindi è che,  nell'avere io aggiunto alla suddetta quantità della quarta parte  d'un'oncia meno ventisette grani altri grani  quarantasette, accrebbi è vero la materia: di che mai l'accrebbi? D'una  porzione della stessa materia incapace per le addotte ragioni a ricevere  accendimento e del tutto inerte ad attrarre: ed ecco perché la forza attrattiva  della somma tutta di quella materia non divenne maggiore; e perché in oltre la  fiamma non venne ad acquistare e più spirito e più bellezza.
     Chi sa? Forse s'io  avessi raddoppiato l'intera dose della quarta parte d'un'oncia meno ventisette  grani, la virtù attrattiva si sarebbe anch'essa raddoppiata e la fiamma sarebbe  comparsa più brillante e più viva. Credo che questa mia risposta appagherà  anche voi, siccome appagò la suddetta Dama; però vado a riflettere che voi,  entrando in questo luogo a filosofare più sottilmente, vorreste intender la  ragione di quell'istesso ch'io asserisco, cioè sapere perché mai accade che  questa materia abbia proprietà così singolare di non contenere la giusta somma  di quelle particelle accendibili che sono atte a manifestarsi in fiamma; e di  non avere in oltre quel moto che è necessario a farle acquistare la virtù  attrattiva del fuoco elementare se non quando essa arrivi alla dose della  quarta parte di un'oncia meno ventisette grani?
     Buon pe' filosofi  se potessero assegnar le vere cagioni di tutti quegli effetti che vedono e che  prendono ad esaminare, pure ecco intorno a questa particolarità quel ch'io ne  penso.
     La suddetta materia  siccome era tutta da principio d'un color gialletto simile quasi al color del  butirro, tal quale io nella prima mia lettera ve la descrissi; così poi da  certi mesi a questa parte sono comparse nella sua superficie alcune strisce  d'un color rosso, cotanto vivo che supera il color del sangue.
     Or io vado a  giudicare che appunto in questa sua porzione di color sanguigno consista tutta  la virtù produttrice di sì rare proprietà: essa a mio credere è quella che  soltanto contiene le poche particelle che sono atte ad accendersi; e che in  oltre ha in sé la virtù d'attrarre il fuoco elementare che si trova sparso  nella nostra atmosfera.
     Né questo mio  giudizio è per ora puramente ipotetico poiché se già il dottissimo Pietro Van  Musschenbroeck nella sua Fisica Sperimentale ci attesta che, avendo ridotta una  calamita in polvere sottilissima, n'estrasse finalmente da questa polvere, dopo  averla esposta a vari cimenti di fuoco, una piccola porzione di colore oscuro  nella quale vide che tutta la virtù magnetica consisteva, essendone rimasa l'altra  di maggior quantità interamente priva e spogliata; qual incongruenza ci ha per  non attribuire la virtù delle due divise proprietà a quella porzione di colore  sanguigno che nella superficie della materia del mio lume s'osserva?
     Potendo questo mio  analogo discorso aver luogo, bisogna affermare che nella suddetta materia  allora arriva ad esserci tanta porzione di color sanguigno che contenga la  giusta somma di quelle particelle accendibili, che sono atte a manifestarsi in  fiamma; e che basti in oltre per mettersi in quel moto che è necessario a farle  acquistare la forza attrattiva del fuoco elementare, quando la dose di essa  materia giunge alla quantità d'una quarta parte d'oncia meno ventisette grani.
     Così io la penso;  ma se poi volete che vi parli colla mia sincerità di quest'istessa asserzione  non posso rendervi affatto sicuro: sapete perché? Perché né meno io medesimo ne  son sicuro; ed eccone la ragione.
     Allorché io feci la  riferita sperienza colla materia del secondo orinaletto (giacché quella  contenuta nel primo accese improvvisamente all'accostamento del cerino) non  avea per anche né quella materia né l'altra contenuta in questi due orinaletti  che mi sono rimasti data fuori quella porzione di color sanguigno, che poi  diede in questi due ultimi, secondo che dissi; onde chi sa se non essendo in  quel tempo così ben stagionata come di là a molti mesi è da credersi che si  rendette, richiedeasi allora maggior porzione di essa per essere atta ad  accendersi di quella che presentemente si richiederebbe?
     Forse non sarà  così: però io sono entrato non senza qualche ragione in questo sospetto; e non  vedo l'ora d'assicurarmene, tosto che sarò in istato d'esporre al pubblico  questi altri due orinaletti di materia che ci ho: tanto maggiormente ch'io  osservo in essi una cosa molto notabile, ed è che in uno, in cui la materia è  del peso d'una quarta parte d'oncia e dodici grani, la porzione di color  sanguigno è molta; e in un altro poi, nel quale arriva la materia al peso d'una  quarta parte d'oncia e quarantotto grani, la porzione di detto color sanguigno  è così poca che appena ci si vede.
     Or se la materia in  ambedue i detti orinaletti contenuta è la stessa, sebbene in uno sia più e  nell'altro meno carica di quella porzione di color sanguigno che forse sì mirabili  effetti produce, per quel che un giorno da me, il quale so i componenti della  materia tutta, fondatamente intenderete, non deggio sospettare almeno che la  materia del primo orinaletto si debba accendere in minor quantità di quella che  si richiede perché prenda fuoco la materia del secondo orinaletto?
     E non sarà quindi  vero che per accendersi la materia di questo secondo orinaletto sarà necessario  che essa arrivi alla dose d'una quarta parte d'oncia meno ventisette grani, per  accendersi la materia del primo orinaletto basterà una dose minore?
     Dipendendo dunque  senz'altro l'accendimento del mio lume da quella sola porzione di color  sanguigno che in tutta la materia si osserva, può fare il caso che pochi grani  di materia, ne' quali ci sia la necessaria dose del color sanguigno, si  accendano; e che poi una ed anche varie once di materia, prive della suddetta  richiesta dose non prendan fuoco
     Or basta; l'evento  metterà un giorno in chiaro le cose; frattanto io termino qui la presente  lettera. Intenderete il rimanente delle opposizioni e delle risposte col  venturo corriere.
     Onoratemi de'  vostri comandi e conservatemi nella vostra solita buona grazia.